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Guardarsi alle spalle: il racconto di prima mano della storia che mi ha quasi ucciso

Lo scandalo dello scandalo Scientology, articolo apparso su Radar del 23 giugno 2007. Di Paulette Cooper, tratto da lermanet.com.

© Traduzione a cura di Simonetta Po, luglio 2007.

 



Lo scandalo dello scandalo Scientology

Forse non mi crederete, ma potrebbe capitarvi di scrivere qualcosa di inviso a qualcuno e poi - con l'aiuto del governo - essere mandati in bancarotta e vedere quasi rovinato un quarto della vostra vita. E non è necessario vivere in Cina o in Russia, può accadere proprio qui a New York. Lo so bene, visto che è successo a me. Non avevo mai raccontato la storia dall'inizio alla fine, è ancora troppo dolorosa. Ma eccomi qui.

Paulette Cooper, 1967

Nel 1968 ero una giornalista freelance di New York che cercava di farsi strada. Ero alla ricerca di un pezzo investigativo che avrebbe fatto la differenza. Scegliendo di denunciare una allora relativamente sconosciuta organizzazione di nome Scientology (e la sua compagna, cioè Dianetics) finii con il rischiare quindici anni di prigione, con il vedermi intentare ben diciannove cause legali, con l'essere sottoposta a cinquanta giorni di deposizioni, l'essere quasi vittima di un omicidio, l'oggetto di cinque lettere anonime diffamatorie e il dover sopportare molestie costanti e continuate per oltre dodici anni.

Tutto iniziò dopo aver scritto un articolo intitolato The Scandal of Scientology per la rivista inglese Queen. Avevo una laurea in psicologia e avevo studiato religione comparata ad Harvard, e ciò che appresi nel corso della mia ricerca sul gruppo fondato da L. Ron Hubbard era sia affascinante che tremendo. La storia implorava di essere raccontata. Dopo la pubblicazione dell'articolo ricevetti una minaccia di morte, ma decisi comunque di scrivere un libro sull'argomento. Sapevo che gli scientologist non avrebbero apprezzato ciò che avrei detto, ma ero ingenua e non avevo idea degli orrori che i due decenni successivi avevano in serbo per me.

The Scandal of Scientology [1] fu pubblicano nel 1971 da un piccolo editore, la Tower Publication. Dopo aver combattuto cinque cause legali intentate contro di lui (e me) dalla Chiesa di Scientology, l'editore firmò una scusa ufficiale e richiamò il libro. Io però rifiutai di farmi mettere la museruola e ben presto le cause furono indirizzate a me, assieme a minacce di morte e a telefonate pretestuose e moleste. Perché erano così preoccupati da ciò che una giovane giornalista di New York aveva da dire? Ovvio. Fino a quel momento non era mai stato scritto alcun servizio giornalistico investigativo su Scientology.

Tra le altre cose sostenevo che uno degli elementi essenziali di Scientology - il loro E-meter, un dispositivo che agisce come una macchina della verità - produceva risultati discutibili; che Hubbard aveva mentito sul suo background; che Charles Manson era stato studente di Scientology (il che fu in seguito dimostrato, ma non volevano si sapesse); e che alcuni auditor si erano comportati in modo improprio. Avevo anche ampiamente citato il "Rapporto della Commissione di Inchiesta su Scientology" ormai fuori stampa, un documento dettagliato e devastante pubblicato nel 1965 dal governo australiano.

Non trascorse molto tempo prima che strani personaggi cercassero di avere accesso al mio appartamento. In quello stesso periodo, nel seminterrato del mio condominio scoprii morsetti sulla mia linea telefonica - probabilmente i resti di intercettazioni telefoniche. Poi mia cugina - anche lei bassina e minuta come me - si trovava da sola a casa mia quando arrivò un uomo che doveva "consegnare fiori" per me. Quando aprì la porta l'intruso tirò fuori dal mazzo di fiori una pistola e gliela puntò alla tempia. Fortunatamente l'arma si inceppò, oppure era scarica. L'uomo iniziò a strangolarla e quando lei riuscì a divincolarsi e a urlare, lui fuggì. La polizia si disse poi sconcertata poiché apparentemente non vi era alcun motivo per l'aggressione.

ritagli e copertina

Mi trasferii immediatamente in un condominio con portiere. Poco tempo dopo circa 300 dei miei coinquilini ricevettero una lettera anonima diffamatoria su di me. Tra le altre cose la lettera mi descriveva vergognosamente come prostituta part-time e diceva che una volta avevo molestato sessualmente una bambina di due anni.

Qualche settimana più tardi, all'inizio del 1973, ricevetti una visita di un agente del FBI di nome Bruce Brotman, il quale mi disse che James Meisler, portavoce della Chiesa di Scientology di New York, sosteneva di avere ricevuto minacce minatorie anonime e aveva fatto il mio nome come probabile sospetto. E la cosa successiva che seppi al riguardo fu che ero stata convocata da un gran giurì federale di New York.

Mettendo assieme tutti i guadagni del mio lavoro di freelance ingaggiai un avvocato e gli pagai un anticipo di 5000 dollari. Non mi sarei di certo immaginata che lo studio a cui conferii il mandato, diretto da Charles Stillman, alla fine mi avrebbe addebitato ben 28.000 dollari - e poi a fine caso mi fece causa per ottenerne altri!

Durante il processo davanti al gran giurì il pubblico ministero John D. Gordon III mi spiegò che rischiavo cinque anni di carcere per ognuna delle due lettere che sostenevano avessi inviato, più cinque anni se rilasciavo falsa testimonianza, oltre a 15.000 dollari di multa.

Poi Gordon sganciò la vera bomba. Dopo aver detto la verità, cioè dopo aver testimoniato sotto giuramento che non avevo mai toccato e non avevo addirittura mai visto le sconclusionate lettere che egli sottopose al gran giurì (datate 8 e 13 dicembre 1973), mi chiese: «E allora come mai su queste lettere ci sono le sue impronte digitali?».

Rimasi così scioccata che credo di aver perso momentaneamente i sensi, perché la stanza mi si ribaltò davanti. (Giustamente) gli spiegai che le minacce minatorie potevano essere state scritte su un mio foglio di carta intestata vuoto, che io avevo toccato, e che potevano essere state successivamente battute a macchina da qualcun altro. Ma Gordon non ne fu convinto. Il 9 maggio 1973 la Procura Generale degli Stati Uniti per il Distretto Meridionale di New York mi incriminò formalmente di tre capi di imputazione (due per l'invio delle lettere minatorie e uno per falsa testimonianza, in quanto avevo negato di averle inviate).

Dieci giorni dopo venni arrestata - cosa ancora più umiliante - rilasciata su cauzione e mi venne vietato di lasciare lo stato senza autorizzazione. «Comunque sia, chi vorrebbe mai recarsi in New Jersey?» scherzai con gli amici. Ma dentro di me non ridevo affatto.

Paulette Cooper, 1975

Entrai in uno stato di perenne paranoia. A malapena riuscivo a scrivere, e le bollette, in particolare le parcelle legali, continuavano ad impilarsi. Non riuscivo più a mangiare. Non riuscivo più a dormire. Fumavo quattro pacchetti di sigarette al giorno, ingoiavo Valium come fossero mentine e bevevo decisamente troppa vodka. Ero ossessionata soprattutto dalla prigione. Dalle multe. Dalla mia carriera. Fino a quel momento mi ero mossa dannatamente bene. A meno di 30 anni avevo pubblicato o stavo per pubblicare quattro libri: The Medical Detectives, un libro sulla medicina forense che oggi sarebbe probabilmente un best-seller; un libro per bambini e un libro sui portoricani a New York. Ma una volta che la storia del mio processo fosse stata resa pubblica, quale editore avrebbe dato incarichi a una scrittrice accusata di inviare lettere minatorie contro la gente su cui scriveva? Desideravo diventare scrittrice e giornalista fin da quando avevo otto anni e quando sembrò che la mia carriera fosse finita ne fui distrutta. Ero anche preoccupatissima per i miei genitori. Mi avevano adottato in un orfanotrofio belga quando avevo sei anni e avevo sempre cercato di renderli orgogliosi di me. Tuttavia temevo che presto sarebbero stati umiliati dalle accuse mossemi durante il processo.

Sapevo che per scoprire dettagli potenzialmente imbarazzanti sulla mia vita privata la pubblica accusa non si sarebbe fermata davanti a niente, e immaginavo che durante il processo, che si diceva sarebbe durato tre settimane, sarei diventata foraggio per i tabloid. Mi offrii volontaria per un test alla macchina della verità per dimostrare la mia innocenza. Ma quei test fornirono risultati contraddittori e inconcludenti. E, senza grossa sorpresa, dimostrarono che ero fortemente stressata.

La mia depressione si aggravò al punto che Bob Straus, l'avvocato che stavo per sposare, all'inizio dell'estate mi lasciò. Quasi tutti gli amici smisero di chiamarmi. Fortunatamente un amico redattore del New York Times mi rimase vicino e mi teneva al telefono per ore per impedirmi di finire la boccetta di Valium che avevo iniziato la sera del mio trentesimo compleanno. Avevo anche un nuovo amico molto comprensivo; era un giovanotto piccolo, sorridente e rosso di capelli che si trasferì da me a fine estate. Si chiamava Jerry Levin.

Ero davvero troppo depressa per uscire, così era lui a farmi le commissioni e a portare fuori il cane, mentre io trascorrevo le giornate guardando compulsivamente le udienze del Watergate. A volte Jerry mi convinceva ad accompagnarlo, di notte quando non c'era nessuno in giro, sul tetto del palazzo dove c'era una piscina. Si sporgeva oltre la balconata che circondava la vasca e cercava di convincermi a fare altrettanto. «Devi essere coraggiosa se devi tener testa a quei bastardi» mi diceva. Ma io mi tiravo indietro, ero diventata ormai l'ombra della donna avventurosa che ero sempre stata. Cominciai anche a nutrire sospetti su di lui e quando gli facevo domande si arrabbiava dicendo che ero diventata così assolutamente paranoica che non riuscivo più nemmeno a fidarmi del mio migliore amico. Sapevo che aveva ragione, ma non poté evitare che rimanessi mortalmente ferita quando uscì dalla mia vita, lasciandomi sola ad affrontare il processo.

la piscina sul tetto dello stabile della Cooper

Ingaggiai un investigatore privato, Anthony Pelicano - lo stesso attualmente in custodia federale a Los Angeles in attesa di processo per racket e associazione a delinquere. Non concluse nulla e intanto la data del processo, il 31 ottobre 1973, si avvicinava.

Poco prima il Dott. Roy Wallis, professore universitario e ricercatore scozzese, era venuto ad intervistarmi per il libro che stava scrivendo su Scientology. Prima di incontrarmi aveva intervistato L. Ron Hubbard Jr. Durante l'incontro che aveva avuto con lui, Junior gli aveva mostrato con vanto una lettera che aveva scritto al padre, L. Ron Hubbard Senior, poco prima della montatura ai miei danni. Gli aveva scritto che con un colpo solo avrebbe potuto «mettere in ginocchio il nemico».

Wallis, che prima di venirmi a trovare non era al corrente del mio imminente processo, consegnò quella ed altre lettere all'Ufficio della Procura, dove esisteva un dossier crescente sulla "Legge del Fair Game" di Scientology: vale a dire che un «nemico di Scientology» - come lo ero io ai loro occhi - «può essere danneggiato con ogni mezzo da ogni scientologist... può essere imbrogliato, querelato, gli si può mentire, può essere distrutto».

Nonostante quella massa di prove, però, una volta che il governo ha arrestato qualcuno non ha la tendenza a fare un passo indietro. E i pubblici ministeri non amano perdere i casi ad alto tasso di pubblicità. Così, come ultimo e disperato tentativo, mi misi in cerca di un medico che mi somministrasse un test con il siero della verità.

Poiché pesavo appena 40 chili - sette in meno del mio già scarso peso normale e con la salute orribilmente minata - tutti mi dicevano che l'anestesia avrebbe potuto uccidermi. Ma era la mia unica speranza. Onestamente avevo già programmato di uccidermi prima del processo, piuttosto che umiliare me e i miei genitori una volta che la storia fosse diventata di pubblico dominio (fino a quel momento la stampa non aveva avuto sentore del processo imminente, per cui non c'era stata pubblicità).

Alla fine il neurologo Dott. David Coddon del Mount Sinai Hospital di New York accettò di somministrarmi il siero. Dopo diverse ore di interrogatorio con me incosciente, si convinse a tal punto della mia innocenza che non solo disse che sarebbe venuto a testimoniare a mio favore, ma che si sarebbe incatenato davanti al tribunale se il caso contro di me fosse stato portato avanti (proprio ciò di cui avevo bisogno, ulteriore pubblicità!).

Il giorno di Halloween del 1973 il governo cancellò il processo. Tra la perizia di Coddon, la testimonianza giurata di Wallis e le informazioni che avevamo presentato sul "Fair Game", il governo aveva evidentemente deciso che per la pubblica accusa una vittoria non era affatto scontata. Gli avvocati federali acconsentirono a presentare un nolle prosequi alla condizione che io accettassi di sottopormi a psicoterapia per un anno, cosa che feci. A proposito, in seguito gli scientologist si introdussero in uno degli uffici del mio strizzacervelli e rubarono le mie cartelle cliniche con le cose che avevo detto. Bello, no? E il 16 settembre 1975 fu presentato il non luogo a procedere.

Ma la storia non era certo finita. I quattro anni successivi li trascorsi al verde, e pervasa da un senso di grande amarezza. Per tirarmi fuori dai debiti scrivevo articoli per il National Enquirer. Nel luglio 1977 fui elettrizzata - e scioccata - alla notizia riportata in prima pagina dal Washington Post, dal Boston Globe e da altri quotidiani, che indicavano che la verità stava probabilmente per venire a galla.

L'FBI, dopo una soffiata interna, aveva fatto irruzione in tre diverse sedi di Scientology e aveva sequestrato appunti interni e documenti sui "giochi sporchi" del gruppo. Mi rallegrai all'idea che la verità - cioè la mia innocenza - sarebbe alla fine uscita. Ma dovetti aspettare altri quattro lunghi e frustranti anni (durante i quali litigai con diversi altri avvocati e investigatori privati privi di scrupoli che voglio ricordare) - prima di poter finalmente vedere quei documenti. Scientology aveva lottato con le unghie e con i denti per impedire che diventassero di pubblico dominio. Sapevano che a livello di immagine pubblica l'esito sarebbe stato devastante e avrebbe portato cause legali.

Ma la mia tenacia fu premiata. E quando finalmente analizzai quei documenti, come in seguito dissi a Mike Wallace di 60 Minutes, «Scientology risultò essere decisamente peggio di qualsiasi cosa avessi detto, o addirittura immaginato». I documenti sequestrati contenevano centinaia di colpi gobbi, montature e dettagli di infiltrazione, intercettazioni telefoniche e illegalità commesse dagli scientologist contro le agenzie governative (FBI, IRS eccetera) che li avevano fatti arrabbiare [2].

Contenevano anche i dettagli degli attacchi contro critici generici (tra cui Gabriel Cazares, il sindaco di Clearwater che aveva osato alzare la voce); contro la stampa (in particolare il St. Petersburg Times) e naturalmente contro di me, poiché ero il critico più schietto d'America. I documenti più bizzarri si riferivano alla "Operation Freakout" [3] il cui scopo, dicevano, era di «fare rinchiudere P.C. [cioè io] in manicomio o in carcere, o almeno colpirla così pesantemente da farle cessare ogni attacco». Sembrava che dopo il primo tentativo fallito di incastrarmi per farmi tacere e mandarmi in galera, avessero complottato di nuovo per far sembrare che stavo di nuovo mandando minacce minatorie a Scientology e ad altri. Fanno ancora rabbrividire quelle missive del '72, che dovevano essere spedite a Scientology, a Henry Kissinger e ad ambasciate arabe (poiché sono ebrea), ed anche a una lavanderia automatica! Pensate un po'.

Altre pagine di quei documenti rivangavano tristi ricordi. C'era uno strano diario di ciò che avevo fatto durante il periodo in cui mi avevano incastrata, e di quanto fossi arrivata vicino al suicidio. «Non sarebbe una cosa grandiosa, per Scientology?» scriveva l'autore. E poi mi resi conto che l'autore non poteva essere stato altri che Jerry Levin. Era sicuramente uno scientologist, uno che si era appositamente infiltrato nella mia vita per spiarmi e aiutare Scientology a distruggermi. In quel periodo lui e le sue due amiche, Paula Tyler e una donna che diceva di chiamarsi Margie Shepherd (potrebbe essere Linda Kramer di Boston, che dopo il matrimonio è diventata Linda Kobern) andavano e venivano dal mio appartamento e avevano accesso alla carta da lettere su cui qualcuno poteva aver preso le mie impronte digitali, e poi avervi dattiloscritto le minacce.

Inoltre mi ero sempre chiesta perché Jerry insistesse tanto perché mi sporgessi come lui dalla balconata della piscina, al trentatreesimo piano. Forse progettava di spingermi giù? Se lo avesse fatto tutti avrebbero semplicemente dato per scontato che - nel mio stato di profonda depressione - mi ero suicidata. "Operazione Freakout" davvero [Freakout: uscire di testa, perdere il controllo N.d.T.].

Verso la fine del decennio un gran giurì di New York indagò per tre anni sul complotto ordito ai miei danni. Nonostante collaborassi con l'FBI, il caso non portò a nulla perché gli scientologist rifiutarono risolutamente di parlare. In modo assai bizzarro si appellarono al Primo - e non al Quinto - Emendamento, invocando la libertà di religione. Lo scientologist Charles Batdorf venne incarcerato per essersi rifiutato di parlare della montatura contro di me. Ma un gran giurì (e un processo) tenutosi contemporaneamente a Washington, DC alla fine emise sentenze di condanna e carcerazione per undici scientologist coinvolti in intercettazioni telefoniche, infiltrazione e furto di documenti del governo. Alcuni dei condannati erano anche stati coinvolti nelle congiure e nelle azioni contro di me.

Nel 1981 iniziai la mia causa legale contro Scientology, sia per avermi incastrata che per gli anni di molestie che avevo dovuto subire. Nel 1985 io e Scientology raggiungemmo un accordo "amichevole" per tutte le cause. Era stato messo a punto dal brillante avvocato newyorkese Albert Podell. Grazie a lui riallacciai anche i rapporti con Paul Noble, produttore televisivo di New York, con cui avevo avuto una breve relazione a vent'anni, molto prima che tutto questo accadesse. Io e Paul siamo ormai felicemente sposati da diciannove anni. Nel frattempo ho scritto altri undici libri, mi sono occupata di articoli di viaggio e di una rubrica su un quotidiano dedicata agli animali domestici. Anche se non è così "glamorous" come il giornalismo investigativo, è un buon cambio di marcia. I cani non molestano e i gatti non fanno causa.

Paulette Cooper, 2007

Ho anche smesso di fumare, bevo di rado e cerco di dimenticare l'accaduto. Cerco. Ma quando vedo i notiziari TV o apro la casella di posta elettronica a volte sono costretta a ripensare agli anni di tormento che ho dovuto subire. Magari leggo del pubblico ministero Nifong alle costole di un innocente giocatore dei Duke, e mi torna in mente ciò che un altro pubblico ministero fece a un innocente - me. Oppure ricevo una e-mail dall'amico e critico di Scientology Arnie Lerma il quale mi racconta di avere appena scoperto che Paula Tyler appartiene ancora al movimento, o che il vero nome di Margie Shepherd è Linda ............ e il suo cognome da sposata è........., ed è ancora membro di Scientology a Boston. Oppure qualcuno mi manda una testimonianza giurata, come quella di Margert Wakefield: «Il secondo omicidio che sentii progettare fu quello di Paulette Cooper, che aveva scritto un libro critico su Scientology, e pensavano di spararle...». Anche altri nomi continuano a rimandarmi indietro nel tempo. Il mio inutile investigatore privato, Anthony Pellicano, è su tutti i giornali. Il mio ex avvocato Charles Stillman difende clienti dai nomi altisonanti, tra cui il Reverendo Sun Myung Moon. Bob Straus, il fidanzato che mi lasciò, dirige una grande organizzazione di New York che si occupa di cattiva condotta giudiziaria. Albert Podell è ancora il mio avvocato di famiglia. John D. Gordon III lavora con la Morgan Lewis. Il Dott. David Coddon è morto nel 2002. L. Ron Hubbard Jr., morto nel 1992, alla fine riuscì a vedere l'organizzazione del padre per ciò che era (sebbene in seguito ritrattò alcuni dei suoi commenti più forti contro la chiesa). Bruce Brotman si è ritirato dal FBI e fu oggetto di pessimi articoli mediatici nel 2002 quando, come direttore subentrante della sicurezza all'Aeroporto Internazionale di Louisville, rifiutò di rivedere il sistema di sicurezza aeroportuale sostenendo che «Le regole le faccio io». Il Dott. Roy Wallis si è suicidato nel 1990. E anche se non ho mai più sentito nominare James Meisler o Charles Batdorf, ho sentito dire che Jerry Levin - che non era assolutamente il suo vero nome - è ancora scientologist e vive in Inghilterra.

Una delle più importanti denunce giornalistiche su Scientology fu un articolo di copertina pubblicato nel 1991 da Time [4]. Scientology fece causa e perse, anche se pare che l'editore abbia dovuto spendere sette milioni di dollari per difendere con successo il caso, che Scientology ha perseguito a fasi alterne per un decennio prima di darsi pace nel 2001 quando la Corte Suprema degli Stati Uniti rifiutò di riaprirlo. Prima e dopo il processo anche l'autore del pezzo e straordinario giornalista investigativo Richard Behar fu spiacevolmente molestato. Sfortunatamente, la mia esperienza e quella di gente come Behar ha avuto un effetto congelante sulla copertura mediatica di Scientology (voi scrivereste un articolo di denuncia dopo aver letto quanto sopra?). Ed è forse questo il motivo per cui sembrano non preoccuparsi che parti della mia storia siano facilmente reperibili in Internet.

Ricevo un sacco di e-mail e non ho dubbi sul fatto che alcuni di quelli che mi scrivono siano scientologist che cercano di scoprire che cosa sto facendo contro di loro. Ma visto che non ho più scritto di Scientology mi lasciano abbastanza in pace.

Mi preoccupa che potrebbero ricominciare ad infastidirmi dopo questo mio articolo? Sì. Ma grazie a Internet gli sarà difficile farla franca per le loro molestie - dirette a me o a chiunque altro.

Per quanto mi riguarda vorrei spesso non avere mai sentito nominare la parola "Scientology". Ma se si ripresentasse la stessa situazione rifarei da capo ciò che ho fatto. Non riuscirei a restare in silenzio, perché ho appreso troppe cose sconvolgenti e paurose, e ho parlato con troppe persone che sono state danneggiate. Tuttavia per certi versi vorrei essere rimasta in silenzio - vale a dire che non avrei dovuto parlare ad altri di ciò che stavo facendo per combattere Scientology. Non avrei dovuto permettere a nessuno che non conoscessi dannatamente bene di starmi vicino o di avere libero accesso al mio appartamento. Il mio errore fu di essere troppo fiduciosa e troppo loquace.

A volte mi sento scoraggiata perché Scientology riceve molto aiuto e pubblicità da gente come Tom Cruise e John Travolta. In quelle circostanze mi chiedo se sia davvero valsa la pena rovinarmi la vita quando Scientology sembra di nuovo così potente. Ma poi ricordo a me stessa che sono riuscita ad arrivare e ad aiutare un sacco di gente. Il mio libro ha venduto 154.000 copie (e ad eccezione di un piccolo anticipo non ho mai visto un centesimo, mentre azioni legali e perdita di entrate mi sono costate centinaia di migliaia di dollari) e sembra che ogni copia sia stata letta da molte persone. Inoltre è attualmente disponibile liberamente in Internet, in diverse lingue [1].

Alcune delle persone aiutate da quel libro mi hanno contattata, e la cosa mi riempie di soddisfazione. Quasi tutte le settimane ricevo e-mail da qualcuno che l'ha letto, o ha letto in Internet come mi sia opposta a Scientology, e mi scrivono per dirmi quanto li abbia aiutati.

La mia e-mail preferita è quella di un uomo sulla cinquantina che voleva farmi sapere che anni fa, dopo aver appreso dal mio lavoro la verità su Scientology, ha lasciato l'organizzazione, si è sposato, ha avuto quattro figli (due sono gemelli) e ora gestisce un'azienda informatica che dà lavoro a quaranta persone. Ritiene che io sia responsabile della felicità di cui ora gode. Il che mi ricorda del perché ho fatto quel che ho fatto e del perché i giornalisti fanno quel che fanno: cerchiamo di raccontarvi la verità in modo da poter aiutare il prossimo.

Sfortunatamente, a volte paghiamo un prezzo terribile.

Paulette Cooper



I dossier rivelano che una spia riferiva le sue parole più intime
Di John Marshall, parte di una serie di articoli sui documenti sequestrati dal FBI nelle sedi di Scientology nel 1977, Toronto Globe and Mail, 25 gennaio, 1980. Tratto da holysmoke.org

Paulette Cooper è una giornalista freelance, una massa di energia nervosa finemente cesellata. Avvolta da un fascino newyorkese che sembrava fuori luogo nella piccola stanza dignitosamente grigia e priva di finestre del palazzo della Corte Distrettuale degli Stati Uniti di Washington, si è seduta accanto a me al lungo tavolo ricoperto di cartoni pieni dei circa 33.000 documenti sequestrati nel 1977 alla Chiesa di Scientology dal Federal Bureau of Investigation. «Se vedi qualcosa relativo alla "Operation Freakout" per favore informami» mi ha detto. Più di una volta. Con intensità.

La sua ossessione era giustificata.

Stava convivendo con essa dal 1971, cioè dalla pubblicazione del suo libro The Scandal of Scientology, sottotitolo "un agghiacciante analisi di natura, credenze e pratiche della 'now religion'" [religione dell'adesso, del "subito" N.d.T.]. E dalle udienze in cui quei documenti avevano contribuito a fare incriminare i leader americani della setta per una serie di complotti criminali, aveva appreso che "Operation Freakout" era il nome in codice per una delle ossessioni di Scientology - quella verso di lei.

Quel giorno attorno al tavolo o accoccolati sul pavimento della piccola stanza soffocante c'erano altri nove giornalisti, tutti di quotidiani statunitensi. La fotocopiatrice era di rado libera. Anche due giovani scientologist della rivista Freedom erano impegnati all'analisi dei documenti, che raccontavano una strana storia di spionaggio, furto e collocazione di microspie da parte della setta, e di ricatti, lettere scritte con inchiostro tossico, fabbricazione di scandali e altri tipi di molestie per indurre i critici al silenzio.

Un ufficiale giudiziario di guardia nel corridoio continuava a guardare nella stanza e controllava tutti i documenti che asportavamo dal locale. Miss Cooper riteneva di essere pronta per qualsiasi cosa avrebbe scoperto.

Su di lei c'erano molti documenti. Su alcuni riusciva persino a scherzare. In uno veniva definito lo scopo dell'Operazione Freakout - «fare in modo che P.C. venga rinchiusa in un manicomio o in prigione, o almeno colpirla così pesantemente che cessi i suoi attacchi».

Da anni si preparava a questo giorno - e ai molti altri in cui lavorò sui dossier più segreti di Scientology. Erano stati anni da incubo in cui aveva dovuto prendere a prestito soldi per difendersi contro le 14 cause legali intentatele dalla litigiosa setta, e per presentare controquerele. Raccontò di aver trovato prove che il suo telefono era sotto controllo. Di aver ricevuto lettere anonime con minacce di morte. I vicini avevano ricevuto lettere disgustose su di lei, come quella in cui si diceva: «Ha la lingua molto gonfia per un attacco di una malattia venerea».

In alcuni momenti aveva preso in considerazione il suicidio.

Aveva perso l'uomo a cui era legata da sei anni, che le aveva detto che lo stress l'aveva troppo cambiata e stare con lei non era più divertente. I suoi dipendenti avevano ricevuto lettere diffamatorie contro di lui.

Anche altri amici di Miss Cooper erano stati molestati. Alcuni avevano ricevuto telefonate in cui si diceva che a causa sua sarebbero potuti restare coinvolti in cause legali. E poi arrivò la ciliegina sulla torta. Nel maggio del 1973 un gran giurì l'aveva incriminata per aver mandato lettere minatorie alla Chiesa di Scientology e per aver rilasciato falsa testimonianza, avendo negato le accuse mossele. Le lettere minatorie erano state scritte su sua carta intestata, e sopra c'erano le sue impronte.

Anche il suo avvocato la esortò a confessare, ma lei rifiutò. Superò un test alla macchina della verità. Lei e la cugina raccontarono della visita di una donna che chiedeva donazioni per un fondo sindacale, e durante la visita la donna non si era mai tolta i guanti. Nella stanza c'era una scatola con la carta intestata di Miss Cooper. Le minacce minatorie furono denunciate il giorno dopo.

Alla fine le accuse vennero ritirate, ma Miss Cooper continuava a ritenere che il suo nome non fosse stato riabilitato. Fino all'autunno del 1977, quando un suo contatto nel FBI la informò che le prove rinvenute durante i sequestri nelle sedi di Scientology del luglio 1977 dimostravano che si era trattato di una montatura ai suoi danni.

Ho trovato uno dei riferimenti ad essa nei dossier rilasciati dalla corte di Washington che ha condannato undici scientologist americani per reati collegati a furto di documenti governativi e a ostruzione della giustizia. Uno di quei dossier conteneva una lettera datata giugno 1974 scritta da Dick Weigand a Henning Heldt, due dei leader condannati il mese scorso a quattro anni di carcere. Acclusa alla revisione delle precedenti attività di uno degli operativi della setta c'era l'annotazione: «Ha cospirato per incastrare Mrs. Lovely (nome in codice di Miss Cooper) affinché fosse arrestata per un reato penale che non aveva commesso. Per quel reato è stata incriminata».

Il nome "Mrs. Lovely" continuava ad uscire in diversi documenti. E la volta successiva fu la stessa Miss Cooper, che sedeva di fianco a me, a rinvenirlo. «Oh, eccolo qui» la sentii sospirare. Aveva davanti i rapporti dettagliati di un altro operativo della setta. Pensava che quei documenti esistessero, ma non ne era sicura. Per un breve periodo l'uomo le era stato molto vicino, aveva finto di essere innamorato di lei.

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Miss Cooper ha iniziato a leggere ma ha capito di non essere abbastanza forte per farlo in quella sede. Col volto contratto ne ha fatto delle copie. «Ho bisogno di leggerle in mezzo ad amici», mi ha detto. Lo ha fatto quella sera stessa a cena con me e Nan McLean, una cara amica di Sutton, Ontario, ex scientologist. In un appunto scritto qualche giorno dopo la sua incriminazione per le minacce minatorie, l'agente aveva riferito: «Abbiamo Mrs. Lovely in una situazione molto imbarazzante». Ce lo ha letto a voce alta. Ma le era difficile proseguire e ha continuato la lettura in silenzio.

Nelle parole dell'uomo a cui aveva confidato i suoi ricordi più intimi, a cui aveva dato fiducia totale ha trovato la descrizione che egli aveva fatto ai leader della sua chiesa su quanto gli aveva raccontato del suo adolescenziale risveglio sessuale. In un'altra pagina l'uomo faceva riferimento alla volta in cui, depressa per i problemi che la assillavano, aveva parlato di suicidio. L'agente segreto diceva ai suoi superiori che esteriormente aveva mostrato grande solidarietà e comprensione, ma dentro si sé stava ridendo: «Non sarebbe una cosa grandiosa, per Scientology?».


Note di Martini:

1. Si vedano estratti del libro.

2. Si veda l'inchiesta del St. Petersburg Times, vincitrice del Premio Pulitzer 1980 per il miglior reportage investigativo, ripreso nel 2005 dalla casa editrice Minimum Fax nel suo volume Sette Pezzi d'America.

3. Si veda nel dettaglio.

4. Si veda La florida setta dell'avidità e del potere.

 
 
 
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