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Sancito il diritto di critica delle organizzazioni religiose

Dicembre 2004: la Corte di Appello di Roma assolve due ex appartenenti alla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova querelati per diffamazione.

Si vedano anche i commenti di Achille Aveta e dell'ARIS.

 
Sentenza N. 108/04
del 9 dicembre 2004
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
Sezione quarta penale

riunita in camera di Consiglio e composta dai
dott. Enzo Rivellese Presidente
dott. Dario D'Onghia Consigliere
dott. Giovanni Carlino Consigliere rel.
ha emesso la seguente

SENTENZA

nei confronti di
B.C., nata a (omissis) il (omissis),
S.A., nato a (omissis) il (omissis),
O.A., nata a (omissis) il (omissis),
V.A., nato a (omissis) il (omissis).

Imputati

Del delitto p. e p. dall'art. 10, 595 c.p., 30 lg 223/90, 13 lg 47/48 perché, in concorso tra loro, mandando in onda in data 31.7.98 sull'emittente televisiva Rai Tre la puntata del programma "Format: il dilemma" dal titolo "La figlia rapita" offendevano la reputazione della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova definendola ripetutamente "setta" e consentendo la diffusione di interviste ove si affermava fra l'altro che «A.O. (di anni 16) era stata assorbita dall'organizzazione... era plagiata, quasi irrecuperabile... dicevano di non andare a scuola perché non serve... mi dicevano di lasciare la famiglia e di andare in una loro famiglia... andare da loro senza il consenso dei genitori è una scelta giusta... proibiti i rapporti all'esterno della Congregazione... fui impedita di leggere una lettera di motivazioni sulla decisione di abbandonare i Testimoni... si raggiungono livelli di fanatismo incredibile...» e che la Congregazione aveva a base «...un sistema di lucro e basta...».
In Roma, il 31.7.1998.

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 14.6.2002 il GUP del Tribunale di Roma dichiarava non luogo a procedere nei confronti di C.B., A.S., A.O. ed A.V. in ordine al reato di diffamazione - commesso il 31.7.1998 in danno della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova nella trasmissione televisiva "Format: il Dilemma" dal sottotitolo "La figlia rapita" - perché il fatto non costituisce reato.

Il Giudice evidenzia che la fattispecie coinvolgeva i rapporti tra la Congregazione ed i suoi aderenti, posto che dall'esperienza di A.O. nascevano le critiche, che trasfuse in un servizio televisivo avevano acquistato la dimensione e la diffusione proprie di una critica globale al modo di essere e di agire della Congregazione, descritta come una formazione caratterizzata da integralismo, rigidità e dall'attitudine a condizionare in modo pervasivo la vita privata e sociale di ogni aderente.

Ripercorreva la vicenda della O., del suo ingresso nella Congregazione, dei conflitti con la famiglia per aver lasciato la scuola per dedicarsi alla predicazione, della critica maturata dopo mesi di sofferta riflessione, della sua decisione di lasciare la comunità.

Affermava che i termini di "setta" e "fanatismo" dalla stessa O. usati erano adeguati ad esprimere il senso di oppressione patito e che l'accusa di integralismo, implicita nella sua presa di posizione, rifletteva l'opinione formatasi nel corso della lunga e sofferta esperienza.

Poneva in risalto che la ragazza, pur esprimendo una critica severissima e radicale, non si era abbandonata ad alcuna espressione gratuitamente offensiva, ma aveva analizzato con estrema intelligenza quelli che considerava gravi errori dottrinali e sociali.

Sottolineato infine che la stessa non aveva riferito alcun fatto che fosse risultato smentito, riteneva essersi pienamente integrata la scriminante del diritto di critica, applicabile anche in relazione alle trasmissioni televisive.

Passando all'esame dell'altro intervistato, A.V., rilevava che questi - riuscito dopo sette anni di litigi a staccare la consorte dalla Congregazione - aveva preso posizione contro una ideologia considerata in grado di rompere i connettivi strutturali della famiglia ed in tale contesto usato l'espressione "sistema di lucro" alludendo ad interessi economici della confessione ma senza negarne la matrice religiosa.

Riteneva tale riferimento - peraltro ricorrente in posizioni critiche verso altre chiese - non sufficiente a superare i limiti della scriminante, al pari dell'accusa di aver plagiato la O.

In proposito osservava che anche la madre della ragazza aveva usato espressioni alludenti al concetto di plagio - non più afferente a un reato ed ormai privo di portata lesiva -, espressioni costituenti manifestazione della posizione critica ed oppositiva nei confronti dello stile di vita - vero o presunto - proposto dalla Congregazione.

In ordine a C.B. - giornalista ed intervistatrice della O. e del V. - richiamava le considerazioni svolte ed assumeva che la stessa non aveva alcun obbligo di verifica né sulla veridicità delle espressioni usate, trattandosi esclusivamente di opinioni e giudizi, né sul limite della continenza, mai travalicato dagli intervistati.

Con riferimento alla posizione di A.S. - regista della trasmissione - ribadiva che il servizio dal titolo "La figlia rapita" - peraltro da analizzarsi nella sua completa formulazione "Il dilemma, storia di genitori e figli. A., la figlia rapita" - riflettevano il punto di vista soggettivo della ragazza e della sua famiglia ed alludevano al senso di perdita da questa vissuto.

La sentenza veniva impugnata dal P.G. limitatamente ai menzionati indagati.

L'appellante reputava estraneo al concetto di critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato su fatti non veri.

Rilevava che il GUP aveva dato atto del discredito ricaduto sulla confessione religiosa e della sussistenza dell'aspetto oggettivo del reato di diffamazione. Assumeva che alcuni giudizi formulati dagli interventi - in particolare l'accusa di rapimento e plagio, l'essere la Congregazione costituita in setta di fanatici, il sistema di lucro su cui si fonderebbe - erano gratuiti e privi di una verifica di fondatezza: pertanto travalicavano i limiti del diritto di critica sia sotto l'aspetto della verità che quello della continenza.

Chiedeva quindi riformarsi la sentenza e disporsi il giudizio nei confronti dei menzionati imputati.

All'esito dell'odierna udienza di camera di consiglio, udite le conclusioni rassegnate dalle parti, la Corte ritiene di dover disattendere - nei limiti appresso specificati - l'impugnazione proposta.

Va preliminarmente osservato che nella querela per diffamazione sporta, la parte civile aveva mosso accuse nei confronti "dell'allora direttore di Rai Tre, nonché responsabile del programma Format, Dott. G.M., degli autori, i Sigg.ri C.B., M.B., A.S., nonché nei confronti dell'On.le I.P. e di chiunque altro, compresi A.O., i suoi genitori e i coniugi V.".

L'appello invece è limitato al proscioglimento di A.O., di A.V., della B. e del S., non fornendo oggetto di gravame le pronunce liberatorie intervenute nei confronti degli altri indagati anche se la parte querelante lamentava in via prioritaria l'impostazione ed il titolo dati alla trasmissione televisiva (cfr. la querela sporta).

Le posizioni da esaminare restano dunque quelle della O., della B., del S. e del V. - nelle more deceduto in data 13.4.2004 -.

Dalla trascrizione del programma la prima risulta aver qualificato la Congregazione come "setta", nonché caratterizzata da "fanatismo" ed "integralismo" ed accusata di "plagio".

Non sono mai stati negati il carattere e le finalità religiose della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova e le critiche alla stessa mosse - come addebitate nel capo di imputazione - , non escludono siffatto scopo e prendono le mosse dalle esperienze personali vissute dalla giovane A.O. e dalla signora V. e dalle conseguenti sensazioni percepite a seguito della loro permanenza nella comunità.

In tale contesto il Giudice ha rettamente valutato le espressioni usate dalla giovane O., se pur improntate ad un aspro spirito critico, ancorate a presupposti di fatto non smentiti e non gratuitamente offensive per la costituita parte civile.

Va in merito osservato che nella attuale accezione linguistica, i termini di "setta" e di "plagio" non hanno più quella connotazione negativa loro precedentemente attribuita: indicano ora il "carattere chiuso" di una associazione ed il "pieno coinvolgimento" degli aderenti ai suoi scopi.

L'espressione "fanatismo ed integralismo" nella circostanza alludono poi meramente alla preminenza degli interessi della comunità su quelli personali e familiari dei singoli - posposti quest'ultimi per il raggiungimento del fine comune - nonché ai rigorosi valori morali propugnati dal movimento religioso.

Si tratta comunque di espressioni comunemente usate in sede di severa critica ideologica che devono intendersi lecite sul piano penale, quale manifestazione del diritto costituzionale di opinione e di manifestazione del pensiero.

Per queste ragioni deve escludersi che gli indicati vocaboli, ribaditi il non negato carattere religioso della Congregazione e la mancata dimostrazione della falsità delle circostanze di fatto relative alle esperienze personalmente vissute (cfr. in merito la impugnata sentenza) travalichino il limite consentito dal diritto di critica.

Va rilevato altresì che il "plagio" nel nostro ordinamento non è più previsto come reato e che la parte civile non ha contestato l'episodio riferito dalla O. della non permessa lettura dello scritto che motivava le ragioni della propria fuoriuscita dalla congregazione.

Nel corso della intervista rilasciata la stessa O. non parla mai di costringimento ad abbandonare gli studi e la famiglia ma in proposito riferisce: «io fui protagonista di una profonda trasformazione, in quanto, ecco, all'epoca frequentavo le scuole medie e già alla fine delle medie paventavo (da intendersi accarezzavo l'idea, come emerge dal contesto delle dichiarazioni, n.d.r.) l'idea di non proseguire con gli studi, di darmi ad un lavoro a mezza giornata e durante l'altra mezza giornata di dedicarmi alla predicazione e quindi a tutte le attività geoviste»;

«erano riusciti attraverso lo studio ed attraverso la frequenza delle adunanze a creare un indotto intorno a me che mi entusiasmava, mi induceva a capire che stavo compiendo la cosa più giusta»;

ed ancora «all'età di quindici anni io mi sono battezzata con il rito utilizzato dai testimoni con l'immersione in acqua, ovviamente galvanizzata da chi mi stava intorno, dalle persone che conoscevo, da chi mi conduceva allo studio all'epoca, così... era diventato un passo importante»;

«il clima in casa divenne via via sempre più insopportabile. Ad esempio quando io mi battezzai già mia madre aveva preso una posizione netta... nei miei confronti, di contrasto, di obiezione. Quando vide che le cose prendevano una piega sbagliata, quando io ho cominciato a controllare i miei affetti, a progettare il mio futuro in maniera diversa, cominciò a capire che io mi stavo separando dalla famiglia, che io non stavo più investendo nella famiglia perché ormai c'era un altro gruppo nel quale investire»;

«Io mi sentivo un po' come una palla tra due fuochi: dovevo mantenere la mia integrità»;

«Qualcosa di tutto ciò che loro mi dicevano mi entrava anche nella testa e nel cuore. Capivo che in tutto ciò che loro dicevano c'era qualcosa di giusto e di vero»;

«Qualcuno tra gli anziani aveva cominciato a paventare (vocabolo ancora una volta erroneamente usato, nella specie da intendersi come prospettare, n.d.r.) la possibilità che una volta maggiorenne io avessi potuto lasciare la mia famiglia ed ottenere accoglienza presso una famiglia della congregazione»;

«la dottrina geovista penetra in tutte le sfere della vita di una persona, quindi nella sfera privata, nella vita personale, degli affetti, della vita sociale».

Né parla mai di "fine di lucro" o "sistema di lucro", espressione attribuita dal GUP al V. ma in realtà adoperata dal padre della giovane (vedi la trascrizione in atti).

Né risulta che la stessa O. e gli altri indagati abbiano preventivamente concordato le risposte da dare o le affermazioni da fare in ordine alla Congregazione.


Passando all'esame delle posizioni di C.B. ed A.S. - rispettivamente presentatrice-intervistatrice e regista della trasmissione televisiva cui intervennero la O. ed il V., nonché i rispettivi familiari e la P., va sottolineata che la stessa parte querelante addebita alla prima esclusivamente la mancata contestazione e limitazione di quanto affermato dagli intervistati.

Dalla citata trascrizione risulta che la B. nulla di rilevante aggiunse alle dichiarazioni degli ospiti né può ritenersi aver fatto cassa di risonanza delle stesse, posto che trattavasi di dichiarazioni raccolte al momento, senza alcuna prova di preventivo accordo o conoscenza.

Un vaglio verosimilmente andava fatto dai responsabili del format, cui è da ascriversi anche il titolo dato al servizio televisivo e le conseguenti scritte apparse in sovrimpressione.

Per tale motivo appare esente da responsabilità il S., non emergendo anche per quest'ultimo un preventivo accordo od una pregressa conoscenza.

Per tutte le svolte considerazioni e per quelle più diffusamente contenute nella sentenza impugnata, l'appello formulato dal P.G. va rigettato con conferma della impugnata decisione anche nei confronti del deceduto V.

Attesa l'evidenza della sua innocenza, il proscioglimento nel merito va disposto a norma dell'art. 129, II comma, c.p.p., richiamato nella sua interezza dall'art. 69 stesso codice.

Invero la parte civile addebita ad entrambi i coniugi V. esclusivamente le seguenti espressioni - senza contestare altre affermazioni-:

«manipolazione della mente... invertita la scala dei valori,,, prima la sala del Regno e poi la famiglia... trasformata la mentalità dell'individuo... si raggiungono livelli di fanatismo incredibili».

Ribadita la mancata prova di un accordo preventivo, sottolineato che il riferimento al sistema di lucro non è attribuibile ad A.V. al pari dell'affermazione "trasformata la mentalità dell'individuo" e che non è oggetto di contestazione il presunto atteggiamento oppositivo della congregazione nei riguardi del voto, il Collegio non può che ripetere quanto sopra evidenziato in ordine all'uso ed alla portata dei termini "plagio", "integralismo" e "fanatismo", ritenuti manifestazione di una consentita critica, sia pure formulata in modo severo.

P.Q.M.

visto l'art. 428 c.p.p.,
rigetta l'appello proposto dal P.G. avverso la sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Roma il 14.6.2002 e conferma l'impugnata decisione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 9.12.2004

Il Consigliere est.                Il Presidente

Depositata in Cancelleria il 16.12.2004

 
 
 
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