Commento di Achille Aveta e dell'ARIS (Associazione Ricerca e Informazione sulle Sette) in merito alla sentenza di assoluzione di due ex Testimoni di Geova querelati dalla Congregazione per diffamazione. Giugno/luglio 2005
Talvolta, si sente dire che la magistratura è molto prudente nell'emanare provvedimenti collegati all'appartenenza a un movimento religioso; sembra che, se il contesto è religioso, la cautela sia quasi sempre amplificata. I motivi di questa "prudenza" si fonderebbero in parte su una valutazione non sufficientemente approfondita del contenuto e dei confini della libertà religiosa. Inoltre, in alcuni casi, vi sarebbe il timore di dover procedere a difficili delimitazioni o di provocare reazioni sul piano legale o pubblico da parte dei gruppi interessati. Invece, nel caso di cui intendiamo parlare, la Magistratura italiana ha tutelato la scelta di una giovane che, dopo aver sperimentato l'adesione a un movimento religioso minoritario, ha deciso di prendere le distanze da esso esercitando il diritto di critica motivata. E' anche opportuno osservare, preliminarmente, che la pronuncia dei giudici sulla vicenda - che ci apprestiamo a riassumere - è particolarmente interessante nella parte in cui si evidenzia che, se l'ordinamento è chiamato a tutelare un gruppo religioso, altrettanto deve tutelare i soggetti appartenenti a questo gruppo, consentendo loro di esprimere anche delle critiche severe, soprattutto se la critica proviene da chi ha operato all'interno dell'associazione religiosa. Ciò significa che al riconoscimento della pari dignità tra i gruppi religiosi deve corrispondere la possibilità di critica degli aderenti a ciascun gruppo, anche se tale critica diventa di pubblico dominio attraverso l'uso del mezzo giornalistico o televisivo. Tale critica, infatti, deve considerarsi manifestazione della libertà di ciascuno di autodeterminarsi nella gestione del proprio percorso filosofico o religioso, anche all'interno delle formazioni sociali in cui tale percorso si realizza. Veniamo ai fatti così come sono stati riassunti dinanzi al Giudice per l'udienza preliminare della 39° Sezione del Tribunale Penale di Roma. Il 31 luglio 1998, sull'emittente televisiva nazionale RAI TRE, andò in onda, per la serie "Format", una puntata del programma "Il dilemma; storie di genitori e figli" dal sottotitolo "La figlia rapita"; la figlia menzionata era una adolescente di nome (A). L'intera trasmissione era incentrata sulla difficoltà del rapporto genitori-figli, derivante dalla scelta di (A) di aderire alla Congregazione dei Testimoni di Geova. Tutta la prima parte del programma era dedicata al racconto della madre, la quale, dopo aver acconsentito che la figlia iniziasse uno studio biblico con i Testimoni di Geova e, successivamente, a frequentare la locale congregazione, condividendone progressivamente tutte le attività, si trovò di fronte alla scelta di (A) di lasciare la scuola e dedicarsi alla predicazione, e in ogni caso di fronte a una sua dedizione totalizzante alla Congregazione. Peraltro la vicenda va letta alla luce della personalità indubbiamente consistente della ragazza, e in considerazione dell'approccio tipicamente giovanile e appassionato che ne caratterizza i comportamenti. Tale approccio venne valutato con senso di preoccupazione e di paura da parte della famiglia, anche perché a un certo punto qualcuno degli "anziani" ventilò l'ipotesi che, una volta maggiorenne, (A) avrebbe potuto lasciare la propria famiglia e trovare ospitalità presso una famiglia della Congregazione dei Testimoni di Geova. Seguì un periodo di aspra conflittualità, caratterizzato dal tentativo della famiglia di allontanare (A) dalla Congregazione. A un certo punto i genitori di (A) riuscirono a convincerla a prendersi un lungo periodo estivo di vacanza da trascorrere insieme. Per il loro rientro, avevano concordato un incontro con un a coppia di coniugi che aveva vissuto un'esperienza di adesione e successivo abbandono del geovismo. (A) trovò un punto di riferimento in questa coppia rispetto al quale cominciò ad esercitare una certa critica nei confronti della Congregazione. Ottenne un colloquio con gli "anziani" (= responsabili) locali e chiese che fosse letta una lettera di critica in occasione di una riunione di Testimoni, lettera con la quale si dissociava ufficialmente dalla Congregazione. Della lettera non venne autorizzata la lettura pubblica. (A) racconta che, quando decise di scrivere la lettera, il suo atteggiamento era completamente cambiato, e nel servizio una musica di sottofondo sottolineava l'idillio del ritorno alla normalità. Nel corso del servizio televisivo (A) ha modo di chiarire con grande lucidità il senso di solitudine e di accerchiamento da lei provato a causa del moralismo prescrittivo che caratterizza l'impostazione dottrinale della Congregazione. Con la stessa lucidità (A) espone i motivi che l'hanno spinta a uscire dalla Congregazione. La lettera di commiato, riportata nel servizio, è assai significativa dell'atteggiamento fermo e pacato tenuto dalla ragazza in tutta la vicenda. Pur esprimendo una critica severissima e radicale, ella non si abbandona ad alcuna espressione gratuitamente offensiva, ma analizza con estrema intelligenza quelli che ella considera gravi errori dottrinali e sociali. L'accusa di integralismo implicita nella presa di posizione di (A) riflette, infatti, l'opinione che essa si è formata nel corso di una lunga e sofferta esperienza personale. In definitiva, la trasmissione televisiva dipingeva la "Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova" come una formazione caratterizzata da integralismo, rigidità, nonché dall'attitudine a condizionare in modo pervasivo la vita privata e sociale di ogni aderente.
Entrambe le controversie hanno avuto un esito sfavorevole per i Testimoni di Geova: - il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia ha disposto l'archiviazione del procedimento (cf Ordinanza del 1/10/2002); - l'iter del contenzioso "romano" è stato un po' più "complicato", comunque - per quel che riguarda (A) - la Quarta Sezione Penale della Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 108/04 del 9 dicembre 2004, ha confermato la sentenza di "non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato", emessa nel 2002 dal giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Roma (cf Sentenza 14 giugno - 29 luglio 2002).
Innanzitutto, è evidente che, in tema di diffamazione, non solo una persona fisica ma anche un'entità giuridica o una fondazione, un'associazione di natura religiosa, può rivestire la qualifica di persona offesa dal reato, essendo concettualmente identificabile un onore o un decoro collettivo, quale bene morale di tutti gli associati, considerati come entità unitaria, capace di percepire l'offesa. Perciò, nella vicenda in esame, i giudici hanno considerato la Congregazione dei Testimoni di Geova come ente esponenziale rappresentativo di interessi collettivi, ritenendola, pertanto, soggetto passivo dei reati di diffamazione e di vilipendio. Ciò premesso, va, però, precisato anche che occorre tenere conto del diritto di critica degli appartenenti alle aggregazioni religiose, con particolare riferimento al caso in cui l'esercizio del diritto di critica abbia l'effetto di squalificare un gruppo religioso dinanzi all'opinione pubblica. Al riguardo, la tutela dell'onore, del decoro e della reputazione di un'associazione religiosa deve trovare un punto di bilanciamento con altri diritti della persona e con valori di rango costituzionale, ed in particolare:
Quest'ultimo bene-interesse diventa rilevante come elemento che rafforza, nell'operazione di bilanciamento, il valore e la legittimità del diritto di critica, nella fattispecie da parte di (A), la quale ha compiuto all'interno della Congregazione geovista un percorso culturale e religioso significativo per lo sviluppo della sua personalità e ha realizzato una critica radicale alle idee e alle metodologie della stessa Congregazione. Pertanto, al riconoscimento del decoro e dell'onore della confessione religiosa, deve fare riscontro la rigorosa tutela dei diritti delle persone che, all'interno della Congregazione, svolgono un percorso di ricerca di senso dell'esistenza. E' pacifico, quindi, che i giudici concordino sul fatto che gli appartenenti ad un gruppo religioso (nel caso specifico al movimento della Torre di Guardia) hanno il diritto di critica; chiunque esprime le proprie opinioni di dissenso o posizioni contrastanti con il dettato di un gruppo religioso, anche attraverso il mezzo radiotelevisivo, usando i toni del confronto civile, esercita il diritto di critica, un diritto tutelato dalla Costituzione italiana. Se così non fosse, si vanificherebbe la connessione tra diritto di critica e principio democratico, ben potendo l'espressione di un'opinione, che affonda le radici in una esperienza personale, contribuire alla crescita culturale della collettività. E non vi è dubbio che tale progresso può discendere solo dal rigoroso rispetto del pluralismo dell'informazione, garanzia del diritto dei cittadini alla libera formazione delle opinioni attraverso il confronto e lo scontro di idee diverse o anche contrapposte. Ecco perché i giudici hanno ritenuto non punibile (A). Queste osservazioni possono apparire ovvie per qualche lettore, tuttavia tale ovvietà viene meno quando si parla del Movimento geovista; infatti, solo per fare un esempio abbastanza eclatante, nel 2004, la rubrica televisiva di RAIDUE "TG2 -Dossier storie" mandò in onda alcuni servizi riguardanti i Testimoni di Geova: in uno di essi fu intervistato un "anziano" dei Testimoni (che militava nel gruppo da circa 30 anni), il quale celava la propria identità al pubblico per il fatto che, a causa della radicale critica che rivolgeva al gruppo religioso di appartenenza, se fosse stato identificato, avrebbe corso il rischio di essere espulso e conseguentemente ostracizzato da familiari e amici Testimoni. Quindi, è abbastanza evidente che l'esercizio del diritto di critica nei confronti del Movimento geovista da parte degli affiliati non è un dato pacificamente garantito. Ma entro quali limiti è legittimo l'esercizio di questo diritto di critica? Gli elementi che la giurisprudenza considera costitutivi della scriminante del diritto di critica, sono sostanzialmente tre:
E con questa riflessione ci introduciamo nell'ultimo aspetto che ci pare utile trattare: Quale valore attribuire alla testimonianza degli ex affiliati al Movimento geovista? Sull'argomento, l'opinione della Società Torre di Guardia è decisamente esplicita: moltissimi ex Testimoni sarebbero animati da livore e disprezzo nei confronti degli ex conservi; mostrerebbero acredine e i loro giudizi avrebbero motivazioni faziose e intrise di pregiudizio; in conclusione, a tutto concedere, le dichiarazioni degli ex adepti andrebbero prese con le pinze, secondo i Testimoni! A fronte di questa allarmante descrizione degli ex affiliati, fatta propria da tanti Testimoni (cfr www.cristianitestimonidigeova.net/art0503.htm), propongo all'attenzione di chi legge le osservazioni di una fonte che gli stessi Testimoni considerano non prevenuta nei loro confronti: parlo del dott. Massimo Introvigne. Ebbene, qualche tempo fa Introvigne scriveva a proposito di Raymond Franz (ex membro del Corpo Direttivo geovista): "Raymond Franz è dunque nei confronti dell'organizzazione dei Testimoni di Geova un "apostata", nel senso tecnico in cui questo termine viene attualmente utilizzato dai sociologi della religione che studiano le sette, senso che non implica alcuna valutazione morale negativa oppure positiva. Sorge, allora, un quesito preliminare di carattere metodologico: è lecito usare la testimonianza di un "apostata" ... verosimilmente influenzato da un certo risentimento personale, in un accostamento al tema che vorrebbe essere scientifico?Fin qui il giudizio del dott. Introvigne, che - a proposito del valore scientifico da attribuire alle testimonianze degli ex affiliati - promuove a pieni voti l'opera di devastante critica al movimento della Torre di Guardia, compiuta da Raymond Franz con il suo autorevole volume intitolato "Crisi di coscienza", tradotto ormai in una dozzina di lingue. Riepilogando, quindi, la critica degli ex affiliati è ineccepibile e rigorosa dal punto di vista scientifico quando soddisfa i seguenti criteri:
Orbene, è indispensabile che gli interessati si lascino guidare da queste indicazioni, quando si tratta di valutare la portata dell'argomentata critica che da più parti viene mossa al movimento dei Testimoni di Geova. 1 giugno 2005
Chiunque esprime le proprie opinioni o posizioni anche attraverso il mezzo radiotelevisivo in merito ad una confessione religiosa, usando i toni del confronto civile, seppur accorati ma privi di offese e insulti, esercita il diritto di critica, un valore tutelato dalla nostra Costituzione. Ciò è quanto, in estrema sintesi, ha stabilito il G.U.P. (ndr giudice per le udienze preliminari) dott. Maria Grazia Giammarinaro del Tribunale di Roma (39° Sezione Penale) con sentenza N. 2144 del 14.06.2002 a seguito di querela per diffamazione avanzata dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova di Roma (nella persona dell'allora legale rappresentante, Sig. Valter Farneti) contro i protagonisti, il regista e il responsabile della trasmissione "La figlia rapita", andata in onda sui RAITRE - FORMAT il 31 luglio 1998 per il ciclo "Il dilemma: storie di genitori e figli". Al centro della querela l'uso, ritenuto diffamatorio, delle espressioni "setta", "plagio" e "sistema di lucro". Gli "anziani" (ndr i responsabili) della locale Congregazione di Mira (Venezia), luogo di militanza della protagonista della storia, hanno poi presentato querela per lo stesso reato dando così origine ad un procedimento giudiziario presso la Procura della Repubblica di Venezia parallelo a quello "romano". La succitata sentenza, oggetto anche di commento nella rivista "Guida al Diritto" de "Il Sole 24 Ore" del 9.11.2002, n.43, presenta tre aspetti di rilevante interesse:
Ciò significa che al riconoscimento della parità tra tutte le confessioni religiose deve corrispondere la possibilità di critica degli aderenti a ciascuna confessione, anche se tale critica diventa di pubblico dominio attraverso l'uso del mezzo giornalistico o televisivo. Tale critica infatti deve considerarsi manifestazione della libertà di ciascuno di autodeterminarsi nella gestione del proprio percorso filosofico o religioso, anche all'interno delle formazioni sociali in cui tale percorso si realizza. Le confessioni religiose possono dunque divenire soggetti passivi di critica anche se la critica diventa di pubblico dominio. Il 1.10.2002 si è conclusa, invece, con un'ordinanza di archiviazione, la querela per diffamazione "gemella" a quella "romana", avviata dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova di Mira (VE), nelle persone dei suoi responsabili locali (gli "anziani"), nei confronti degli imputati succitati, nonché di altri intervistati all'interno della trasmissione e dell'On. Irene Pivetti, che rilasciava un commento a conclusione del programma. Infatti, il G.I.P. (ndr giudice per le indagini preliminari) dott. Giandomenico Gallo del Tribunale Ordinario di Venezia, nel "condividere integralmente le osservazioni sul diritto di critica, i cui limiti sono stati nella specie rispettati", riportate nella sentenza "romana", ha disposto l'archiviazione del procedimento. A sostegno dell'ordinanza il giudice, tra l'altro, rileva:
A concludersi non era, invece, il processo "romano". In data 11.10.2002 il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Roma, dott. Romano Miola, impugnava la sentenza del G.U.P. e chiedeva il rinvio a giudizio per quattro degli imputati. Il 9.12.2004, infine, con sentenza N. 108, la Corte d'Appello di Roma (4° Sezione Penale) sanciva il "non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato", confermando quanto già stabilito dalla sentenza del 14.06.2002 e, pertanto, sollevando pienamente i soggetti coinvolti da qualsiasi responsabilità diffamatoria ascritta loro dalla parte querelante. Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Roma è stato avanzato ricorso alla Suprema Corte di Cassazione. Agli interessati è stata notificata la fissazione di un'udienza per il 4 ottobre p.v.; nella stessa notifica, tuttavia, già si precisa che è stata rilevata l'inammissibilità del ricorso poiché "proposto contro un provvedimento non ricorribile". Mira, 11 luglio 2005
Articolo a cura di A.R.I.S. VENETO
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