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Noi giovani teppisti tutti contro Slobo

All'indomani delle elezioni che hanno visto la sconfitta di Milosevic, torna il diario della drammaturga serba più dura contro il regime. Di Biljana Srbljanovic.

Settembre 2000: riprende sul quotidiano La Repubblica, il Diario di Biljana. Raccolta di Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© La Repubblica.

Belgrado (4 ottobre) Il mistero è risolto. La domanda che ci tormenta ormai da tempo, cioè dov'è Slobodan Milosevic, che cosa fa, era rimasta senza risposta per giorni. Ma il mistero è serio, perché dove potrebbe essere in effetti quest'uomo? A casa non c'è - testimoniano i dimostranti che ogni notte passano per la via più protetta di Belgrado e fischiano di nascosto vicino a casa sua. Non è in viaggio, poiché se facesse un passo fuori dalla sua fortezza chiamata Serbia rischierebbe di essere catturato e consegnato al tribunale dell' Aja. E non circola nemmeno per la Serbia, per paura di un blocco stradale, perché non avrebbe proprio dove andare - nemmeno nella sua città natale, dove ha perso miseramente. Ma allora dov'è quest'uomo? - ci siamo chiesti per giorni.

Quand'ecco...è lì in televisione! Il suo appello dell'altra notte al popolo serbo ha finalmente chiarito che cosa abbia fatto tutto questo tempo il nostro presidente. Ha studiato a fondo i modelli esemplari, la storia. Il cittadino Milosevic ha ubbidito prima di tutto al suo grande maestro Compagno Lenin, prendendo sul serio la sua massima: «Ci distruggeranno solo i teppisti nelle nostre file!» Dunque, l'unico pericolo, se ascoltiamo Lenin e Slobo, siamo noi, teppisti nelle case, nelle scuole, nelle università, nelle strade, nei mercati cittadini, perfino negli ospedali. Infatti noi teppisti scioperiamo. E così distruggiamo il sistema dal di dentro. E questo sembra toccare seriamente Slobo, dal momento che, contrariamente al suo stile e modo di fare, ha deciso di rivolgersi a noi direttamente. In realtà, in qualche modo, indirettamente, perché qui ha ubbidito all'altro suo maestro Compagno Stalin e ha parlato di sé in terza persona. Slobo dice così: «Forse bisognerebbe che dopo questi dieci anni qualcuno avesse ben chiaro che loro non attaccano la Serbia a causa di Milosevic, ma Milosevic a causa della Serbia». Ma quale Milosevic? Forse Savo il giocatore di calcio?

Milosevic (Slobodan, l'ex-presidente - giusto perché non vi confondiate) ci ha proprio colpito nel discorso di stanotte. Le sue parole hanno avuto un tale rilievo e una tale ispirazione che la televisione pubblica ne propone la replica costantemente, ogni ora, e i giornali statali ne hanno offerto il testo integrale sulle prime pagine. Un'eccellente opportunità per vedere esattamente che cosa ha detto Milosevic (il tiranno, non il giocatore di calcio) di noi, suoi cittadini: che incoraggiamo l'occupazione straniera del paese.

Dice questo colui che finora è stato presidente dello stato in cui i mafiosi si ammazzano di continuo per le strade, in cui la mafia è padrona di metà del paese e l'altra metà la possiede da solo e l'ex presidente sotto il cui mandato Arkan - criminale e assassino conosciuto in tutto il mondo - è stato deputato al parlamento, nel cui paese il capo della polizia e il ministro della difesa sono stati uccisi in ristoranti stracolmi, davanti agli occhi di tutti, senza che si sia mai venuto a sapere chi fosse il colpevole. E ancora colui che ha ridotto la popolazione serba di centinaia di migliaia di persone, con morti e feriti in tante guerre dice che il pericolo rappresentato dall'opposizione sta nella "scomparsa della nazione". «L'identità nazionale si rafforzerebbe in nome degli eroi nazionali, nomi che vengono invece dati ai prodotti alimentari ed ai cosmetici» dice quest'uomo e ci guarda in faccia, lui che ha il suo maggior merito nel fatto che già da anni il mondo considera noi, un popolo intero, i più cattivi del ventesimo secolo, gli ultimi selvaggi di questo millennio, quelli che hanno meritato le sanzioni, le bombe e l'isolamento. Nemmeno i film di Hollywood, e questo soprattutto a causa di Milosevic, si fanno più senza un personaggio importante cattivo che sia Serbo. E quale salsiccia o quale crema contro la cellulite prenderà mai nome da noi? E' per colpa sua, solo per colpa sua che scrivo con accanimento queste righe per chiarire al mondo che noi non siamo così. Che il popolo non è cattivo, perché non esistono popoli buoni e popoli cattivi.

(Traduzione a cura del gruppo Logos)

 
 
E i poliziotti in piazza ci consegnano le armi

Belgrado (6 ottobre)Questa mattina la giornata è iniziata piena di ottimismo. Colonne di persone, pedoni, mezzi privati, automobili, persino trattori, si muovevano sulle strade che portano verso Belgrado. Presto la città ribolle. La gente esce in strada, qualche ora prima del termine previsto (alle tre del pomeriggio scadeva l'ultimatum che l'opposizione aveva dato alla Commissione Federale per le elezioni per accettare i risultati delle votazioni). La giornata è soleggiata ma ventosa, è difficile stare a lungo in strada. Verso mezzogiorno di fronte all'edificio del Parlamento Federale arriva dalle città limitrofe un gruppo di qualche migliaia di persone, capeggiate dal sindaco di Cacak (la prima città libera della Serbia) sulla ruspa.

Le ruspe e la dura volontà da macho balcanico sono l'unico modo che ha questa gente per passare i blocchi stradali sulla via verso Belgrado. Allora gli uomini robusti si mettono di fronte ai poliziotti armati. Uno dei nostri dice a uno di loro: «Dimmi, hai detto addio a tua moglie, oggi quando sei partito?». E questo risponde: «No». E il nostro dice: «Io invece sì. Vuol dire che non devo neanche tornare vivo. Vedi tu, o cedi, così tutti e due torniamo vivi dalle nostre mogli, o..». E il poliziotto lo fa passare. Gli consegna persino lo scudo e passa dalla parte nostra. Non mi piace la maniera, ma cosa ci posso fare, sembra che sia l'unica che funzioni.

Nel frattempo arriva una notizia nuova. Le elezioni sono state annullate, a quanto pare a tutti i livelli. E le nuove dovranno essere indette durante il mandato di Milosevic. Che ufficialmente significa entro giugno. Chi può resistere fino a giugno, l'atmosfera è quella di: «Ora o mai più, è questo il momento giusto». Di fronte al Parlamento, la polizia. Ad un primo tentativo di avvicinamento all'edificio, la polizia lancia i lacrimogeni sulla gente. E' un lacrimogeno tosto, ve lo dico io, vera esperta che in diverse proteste contro Milosevic ne ha respirati tanti di lacrimogeni, questo mi sembra peggiore e più potente che mai. Tuttavia, quel vento che prima ci gelava ora fa il suo dovere. Il vento disperde i lacrimogeni in fretta, e la gente torna di fronte al Parlamento, dagli altoparlanti suona il rock, non c'è paura, non c'è resa.

Qualche ora più tardi comincia il raduno. La città è stracolma di gente; tutti i negozi, i ristoranti, le aziende sono chiusi. Per la città girano delle voci. Si dice che la polizia faccia nuovamente irruzione nelle miniere. Si dice che abbiano catturato Kostunica. Si dice che siano pronti a sparare. Ma si dice anche che molti "ragazzacci nelle loro file" rifiutino l'obbedienza. In tutti i media di regime i sindacati autonomi invitano gli impiegati a scioperare.

Da stamattina sentiamo di una gran quantità di licenziamenti ai redattori insubordinati, ai giornalisti e quel che più importa, ai tecnici sui media di Milosevic, che rifiutano di lavorare per un uomo. In città da molto tempo i teatri, i cinematografi, tutte gli enti culturali, non lavorano più. Qualche minuto prima delle tre, alla "dead line" stabilita, ce ne stiamo tutti in centro città e aspettiamo quel che sarà. I discorsi dai palchi improvvisati non si capiscono, la folla è, in qualche modo, tranquilla, tutti attendono di vedere che cosa accadrà. Poi, all'improvviso, in un attimo capiamo tutti: la gente si muove verso le porte della sede parlamentare.

Salgo sullo steccato, spingo insieme all'altra gente, seguo una bandiera che un tipo coraggioso porta fino alle porte del parlamento; lo vedo bene coi miei occhi: la bandiera si sposta, va sempre più vicino, sempre più vicino ed entra nel parlamento!!! Questo momento di gioia, di grida, di applausi e abbracci fra la gente, non ve lo racconterò. Semplicemente, è sciocco dirlo. Bisogna viverlo. Bacio e stringo la mano ad un uomo che vedo per la prima volta nella vita (quando l'ho guardato meglio, ho sperato che fosse anche l'ultima) e odo degli spari.

Il gas lacrimogeno viene verso di noi, lo sparge un vento forte. Scappiamo nel mio teatro, qui in centro città, guardiamo la gente che corre, si ripara nell'androne del teatro, si siede, aspetta che l'aria si ripulisca. I più coraggiosi vanno fuori di nuovo ed io pure ci riprovo, ma il gas soffoca, non ci se la fa. Presto l'aria si ripulisce. Usciamo nuovamente, c'è un fumo fitto che viene dalla zona del Parlamento federale e della televisione, la gente riferisce che la polizia appicca gli incendi, spara, crea il panico. Mi sposto fino al palazzo del parlamento, salgo sul terrazzo e guardo: una folla mai vista, la gente continua ad arrivare, una ad una le informazioni sono sempre migliori. La polizia davanti al palazzo del parlamento e della televisione consegna le armi e si mette dalla parte del popolo. Alcuni ragazzi indossano scudi e corazze, distribuiscono caschi e maschere anti-gas della polizia ai cittadini. Gli edifici dei media del regime, innanzitutto la televisione, uno dopo l'altro ritirano i propri famigerati redattori e i cittadini iniziano a redigere ed organizzare il programma. In questo istante in cui devo concludere il diario di oggi, del giorno più emozionante della mia vita, devo dire che sono consapevole del fatto che davanti a tutti noi sta una notte importantissima, molto eccitante e lunghissima.
(Traduzione a cura del gruppo Logos)

 
 
Quando passa la Storia

Belgrado (7 ottobre) Questa è una rivoluzione fatta di muscoli. Di coraggio e gambe veloci. Ora che tutto sta finendo, posso dire che è incredibile di come sia stato semplice. Qualche ora di tenacia, una dose indispensabile di aggressività o di grande determinazione, questo è quanto. È altrettanto incredibile l'arroganza e la certezza del potere nel credere che la forza sia la stessa cosa della giustizia, ossia, quando la forza è in mano loro, lo sarà anche la giustizia.

Quando un gruppo di dimostranti ha divelto con la ruspa il cancello dell'edificio della tivù del regime, i cui canali erano una volgare macchina propagandistica nelle mani di Milosevic, che per un decennio intero ha diffuso odio e cattiveria, la gente ha fatto irruzione nelle redazioni e negli studi. Con stupore hanno compreso che nell'edificio si trovavano ancora tutti i caporedattori, giornalisti e speaker dei programmi informativi, che nella maniera di Goebbels erano soldati di un uomo solo. Questa arroganza e il non rendersi conto della situazione, il pensiero di essere invincibili, e la non comprensione della realtà, li ha trattenuti nell'edificio, alla mercè dei cittadini, la stessa arroganza che non gli ha permesso nemmeno di scappare, questo è ciò che ha stupito tutti quanti. Dopo di che, lo posso dire con orgoglio, la folla non ha fatto alcun male a queste persone.

Temendo il linciaggio, gli uomini di buon senso tra i dimostranti sono riusciti a proteggere questi pseudo giornalisti e ad aiutarli ad evitare l'ira della folla. La notte passava in fretta. Tra la gente, con gli amici nel media-center, seguiamo la liberazione delle reti tivù, una dopo l'altra. Sono cinici i momenti nei quali vedete coloro che fino a ieri erano a servizio di un regime, aggressivi militanti di una macchina guerrafondaia, che con un sorriso amaro sulla faccia annunciano di essere dipendenti di una "tivù libera". E'ancora più ridicolo, ma anche più triste come le "personalità pubbliche" che fino all'ultimo giorno stavano dalla parte di Milosevic, ora si affrettino, garreggino a chi per primo mostrerà lealtà al potere nuovo. La folla festeggia nelle strade, nei bar le tivù sono accese, la gente segue insieme i programmi. Tutti applaudiamo o ridiamo, o lanciamo i bicchieri di plastica e pop corn contro gli schermi, a seconda di quello che sta succedendo in quell'istante.

Di tanto in tanto esco e faccio due passi in città, nei "punti principali" della rivoluzione. Una profumeria di lusso, proprietà del figlio di Slobodan Milosevic è stata demolita a tal punto che rimangono solo le mura. Questo è l' unico negozio che è stato distrutto e depredato. Passo sopra i vetri rotti, vedo un ragazzo che sui resti della profumeria scrive con una bombolette: "Vai, dillo a papà". Alcune persone attraversano in macchina la parte residenziale di Belgrado, passano vicini alla casa di Milosevic, vedono che la coppia non riceve visite. La casa è al buio, non ci sono macchine davanti, nessun segno che dentro vi sia qualcuno. Altre persone spingono le sedie con le rotelline rubate dalle sedi di Sps e Jul, portano grandi quadri, orribili oli su tela, tende, maniglie, posaceneri, persino prese elettriche. Il nuovo governo fa appello alla gente affinché non depredi, non distrugga, non rubi, ma naturalmente è impossibile che ciò non avvenga.

Non sono qui per vedere uno spettacolo all'Opera, sono venuti a liberare il paese. Non possiamo aspettarci che con "delicatezza e buone maniere" chiudano la porta e ritornino a casa. E non si tratta di sedie o quadri, è che questa gente ha la volontà di sfogare in una notte sola, tutta la rabbia e tutta l'energia che ha dentro. Nemmeno hanno bisogno di quelle sedie. Alla fine vengono buttate via, è brutto, lo so, ma è così, meglio le sedie che le persone, meglio distruggere una porta, che linciare colui che per decenni vi si nascondeva dietro. E mentre noi in tutti questi anni, tranquilli, educati, con le buone maniere facevamo le nostre dimostrazioni, portando candele, campanellini e striscioni, la libertà si faceva sempre più lontana.

Ora hanno preso in mano la situazione questi "selvaggi", quelli che quando la bomba lacrimogena gli cade di fronte non coprono la faccia e non scappano, ma prendono lo stesso lacrimogeno e lo gettano a chi glielo ha lanciato. E va già bene che non siano stati fatti danni più grossi. Nella notte hanno subito danni quasi esclusivamente i chioschi che vendono cibo e sigarette, e i distributori di gelati. È in mattinata che si viene a sapere dei primi furti grossi. O per meglio dire, gli ultimi. Perché con queste prime ore del nuovo giorno gli ex funzionari del ex regime sono stati bloccati negli ultimi tentativi di effettuare transazioni con i soldi statali del Banco Popolare. Adesso il più grande pericolo è costituito da quello che coloro che scappano riusciranno a portare con loro. Quando ci saranno i soldi - le compreremo nuove.

Ma la cosa migliore in tutto questo caos, quello che infonde speranza e sicurezza, che è semplicemente ammirevole, è la tranquillità e la determinazione del nuovo governo e del nuovo presidente. Proprio come quel poliziotto dell'ultima barricata davanti alla miniera si è spostato per farmi passare. E la cosa più importante è che il presidente Kostunica nella sua campagna elettorale ha sottoscritto un "Contratto con il Popolo". In quel contratto si impegna a indire, entro un anno, nuove elezioni. Che si sappia che anche lui può essere rimosso. Che non è venuto per rimanere per sempre. Questo è solo il primo passo, una soluzione transitoria, in un lungo viaggio verso una società nuova, moderna, civilizzata e soprattutto aperta. Non c'è dubbio che in questo paese non dorme più nessuno. Gli ultimi due giorni, da quando è cominciata la rivoluzione, i fatti si sono susseguiti così rapidamente che qui nessuno può nemmeno più fiatare. Per la paura di perdersi la storia che passa. Il segno che la fine si avvicina c'è già stato mercoledì. Mentre in città, da diverse parti, sono continuate le proteste di massa - blocchi alle strade, alle facoltà, alle scuole, alle ferrovie e alle fabbriche -, tramite la voce di una radio che si poteva appena percepire, ci è giunta notizia che ingenti forze di polizia hanno fatto irruzione nelle miniere di Kolubar, dove 7000 minatori stanno scioperando da giorni, ormai, per cercare di ottenere il riconoscimento della vittoria elettorale di Vojislav Kostunica. La polizia, scortata dall'esercito - che ha "solo" osservato gli avvenimenti, è entrata con la forza nelle miniere e, nell'intento di interrompere lo sciopero, si è messa ad arrestare gente.

Il mio primo istinto è stato quello di andare ad unirmi ai minatori. Quelle sono persone che lavorano molto duramente. Quella è gente perbene, molto povera, che sta solo a una trentina di chilometri da Belgrado, ma, per le condizioni in cui vive, in realtà sta ben più lontano, al limite della sopravvivenza. Adesso queste persone coraggiose, le loro mogli e tutto il vicinato, che per giorni hanno fermato il lavoro nelle miniere, sono stati il bersaglio dell'aspra oppressione della polizia, che difende il regime di un uomo. Appena ho sentito la notizia, con degli amici ho preso la macchina e sono andata verso Lazarevac e le miniere. Lungo la strada, in città, siamo passati attraverso dei blocchi creati dai dimostranti. Appena abbiamo detto dove eravamo diretti, ci sono saltate in macchina altre persone che avevano la stessa nostra intenzione e il desiderio di arrivare là il prima possibile. Si è subito formata una colonna di veicoli; gli studenti, fermando il traffico in tutte le altre direzioni, hanno lasciato passare la nostra colonna verso la strada che porta alle miniere. Lungo il percorso sempre più automobili e autobus pieni di gente, di cittadini comuni, che, come me, si erano messi in movimento istintivamente per difendere quella povera gente, per difendere da qualunque oppressione il nostro diritto alla libertà. Nel paese manca da tempo la benzina; non è facile trovare nemmeno quella decina di litri necessari per raggiungere le miniere, ma proprio per questo tutte le persone che si sono messe in moto hanno accolto nelle proprie macchine chiunque volesse andare là.

Poi, proprio all'uscita dalla città, ci siamo imbattuti nel primo blocco. La strada dritta, ben visibile; la polizia non consente alle automobili di passare, ma quando si è resa conto di quante macchine aspettavano con perseveranza e strombazzavano senza sosta, suonavano il clacson, facevano chiasso e cercavano un passaggio, semplicemente si è tirata indietro. Davanti al blocco incontro amici, scrittori, attori, "gente conosciuta", la polizia si sente semplicemente infastidita dalla nostra pressione, non può più, come ha sempre fatto finora, accusarci di essere degli hooligan, dei "criminali" e dei "traditori", tutta Belgrado si è radunata e si è messa in moto per unirsi ai minatori. I veri eroi della nostra rivoluzione senza vittime e senza vendette.
(Traduzione a cura del gruppo Logos)

 
 
 
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