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Battaglia per la libertà sulle reti informatiche

Di Yves Eudes, Le Monde Diplomatique, 1996.

 
 
Libertari e franchi tiratori, metà imprenditori e metà pescecani, i pirati ("hackers") di Internet costituiscono una "comunità virtuale" di utenti del computer. Questi pionieri di una nuova frontiera, che spesso sanno usare gli strumenti più sofisticati dell'informatica meglio dell'Fbi, si sono organizzati in lobby per rivendicare una libertà d'espressione illimitata; sono però al tempo stesso ostili alla proprietà intellettuale e regolarmente in contrapposizione con il governo americano.
 
 
Via via che le reti informatiche americane si aprono al grande pubblico si intensifica la battaglia per il loro controllo. 

Confusa e incerta, questa lotta contrappone tre diverse categorie: innanzitutto le imprese delle telecomunicazioni, che cercano di ritagliarsi i loro imperi nel "ciberspazio", considerato come il mercato più promettente dei prossimi decenni; in secondo luogo, varie istituzioni federali segnatamente l'Fbi che si sono attribuite la nuova missione di porre fine all'anarchia sulle reti, e in particolare su Internet, per instaurarvi "la legge e l'ordine", sorvegliare ciò che vi accade e reprimere gli abusi di qualsiasi natura, dalla pornografia all'esportazione illegale di informazioni scientifiche. 

Esiste poi una terza forza: l'insieme delle associazioni e dei gruppi informali sorti dalle stesse reti. La maggior parte di queste "comunità virtuali" conducono una crociata per difendere la libertà, la creatività, il volontariato e il disordine che caratterizzano Internet. I loro mezzi di azione sono tutt'altro che trascurabili e i loro militanti danno prova di un inarrestabile attivismo, alimentato da un amore a volte addirittura mistico per l'universo delle reti. Alcuni pongono al servizio della causa le risorse dei centri di ricerca e delle università presso le quali lavorano. 

Il loro potere deriva soprattutto da una perfetta padronanza degli strumenti informatici e da una conoscenza approfondita di tutto ciò che attiene al "Net". Le loro truppe di élite sono i celebri "hackers", pionieri e franchi tiratori delle reti informatiche, che hanno imposto su Internet la loro etica libertaria e la loro cultura a base di surf, rock'n roll e romanzi fantascientifici. 

Pirata, inventore, idealista, mercenario, imprenditore: il vero "hacker" è un po' tutto questo, a seconda dei casi e a volte contemporaneamente. Ai tecno-hippies degli anni sessanta, alcuni dei quali sono divenuti ricchi e celebri, si affiancano i "ciberpunks", adolescenti ribelli che hanno adottato l'informatica come lingua materna. Ma giovani o anziani, seri o fantasiosi, gli hackers sono imbattibili, hanno sempre una lunghezza d'anticipo sui migliori laboratori di ricerca e dieci lunghezze sugli "esperti" dell'Fbi. 

Lo spirito che regna nel "ciberspazio" non è propizio all'azione concertata. Cionondimeno, vi si è costituito un gruppo, la Electronic Frontier Foundation (Eff), che è riuscito a ritagliarsi uno spazio a parte e a imporsi come leader informale, nonché portavoce di questa inafferrabile nebulosa. Dopo soli cinque anni di esistenza questa organizzazione originale, al tempo stesso lobby, associazione militante, club, centro di ricerca e "comunità virtuale", è presente su tutti i fronti, riconosciuta, rispettata e temuta. 

Eppure l'inizio era stato caotico. Nel 1990, in seguito a una serie di casi clamorosi di pirateria informatica, l'Fbi aveva lanciato su tutto il territorio degli Stati uniti una vasta operazione di polizia denominata "Sundevil". Proiettati in un universo sconosciuto, gli agenti federali si dimostrarono incapaci di distinguere tra il giovane "hacker" estroso e assetato di bravate, il truffatore e il ricercatore d'alto livello. Non riuscivano a risolvere nulla con i loro metodi: il sequestro e la distruzione di materiale, gli interrogatori di terzo grado e le minacce fisiche. Arrestarono infine un pugno di giovani pirati-divi, dai nomi promettenti per un procuratore The Leftist, Acid phreak, Phiber optik, Terminus, Scorpion, Necron 99, Prophet che però si rivelarono inoffensivi dilettanti. L'operazione "Sundevil" si arenò molto presto per mancanza di prove; contemporaneamente l'Fbi decise di interessarsi a due personalità sospettate di essere in società con i "pirati": Mitch Kapor e John Perry Barlow. 

Mitch Kapor, ex hippy puro e duro, divenuto poi docente di informatica a Harvard e presso il Massachusetts institute of technology (Mit), si sposta ormai in jet privato, dato che è anche l'autore del famoso software di contabilità "Lotus" ed è stato a lungo titolare della società che porta lo stesso nome. 

Quanto a Barlow, è un fervente adepto di Internet, ma il suo denaro e la sua notorietà gli vengono da tutt'altra fonte: è da vent'anni il paroliere del gruppo rock Grateful Dead. È inoltre un autentico cow-boy del Wyoming: proprietario di ranch e mercante di bestiame, ha diviso la sua vita tra le mandrie e la musica, nella grande tradizione del Far West. 

Nella primavera del 1990, Kapor e Barlow, il primo nel Massachusetts, il secondo nel Wyoming, hanno vissuto la stessa esperienza: sono usciti dagli uffici dell'Fbi un po' preoccupati per la propria sorte, ma soprattutto inorriditi dall'incompetenza degli agenti federali che li avevano interrogati, dalla loro profonda incomprensione del funzionamento di Internet e dalla loro ostilità aprioristica nei riguardi di un mondo che non riuscivano ad afferrare. Il pericolo era chiaro: "Sundevil" avrebbe provocato errori giudiziari a cascata, violando i diritti fondamentali di milioni di utenti, e tutto questo poteva anche sfociare in un regime di tutela poliziesca delle rete. Kapor e Barlow reagirono allo stesso modo: decisero, ciascuno per proprio conto, di servirsi di Internet per rendere nota la loro disavventura. In questo modo entrarono in contatto e decisero di incontrarsi nel ranch di Barlow, nel cuore del Wyoming, dove nacque la Electronic Frontier Foundation. 

Il nome è già di per sé una garanzia di successo, poiché riassume lo spirito e l'ambizione dei suoi creatori che hanno voluto innestare la loro avventura nella tradizione americana. 

Nell'inconscio collettivo, l'evento fondatore dell'America moderna rimane la conquista del west. La parola "frontiera" evoca irresistibilmente quell'epopea e rimane il simbolo dello spirito americano. Ora, la "frontiera" di questo fine millennio è elettronica, è l'universo virtuale creato dai milioni di computer che formano una rete. Gli "hackers" appaiono così come gli intrepidi pionieri che esplorano i nuovi territori, e gli utenti di base sono i coloni che dissodano quelle terre vergini. L'Eff si attribuisce una missione storica: "civilizzare il ciberspazio" evitando due scogli, quello del caos e quello della tirannia, e fare in modo che vi attecchiscano i grandi principi della Costituzione. 

L'ex hippy e il cow-boy Il primo compito di Mitch Kapor e John Perry Barlow fu dunque quello di accorrere in aiuto delle vittime di "Sundevil", veri o falsi "hackers" che non disponevano né di aerei privati né di amici altolocati. Fu necessario localizzarli, trovare loro dei buoni avvocati e infine raccogliere i fondi necessari. 

Quest'ultima operazione si rivelò più facile del previsto, perché l'Eff ottenne il sostegno immediato di alcuni dei maggiori nomi dell'informatica, imprenditori che in privato amano raccontare le gesta della loro gioventù: la pirateria informatica non è nata ieri... Le richieste di soccorso affluivano e l'Eff si mise a lavoro. 

La sua prima vittoria fu l'assoluzione di Graig Niedorf, alias Lightning Knight, che rischiava sessant'anni di carcere per aver diffuso su Internet documenti amministrativi del tutto privi d'interesse, ottenuti con un atto di pirateria dal computer di una compagnia telefonica, ma disponibili anche su semplice richiesta. La sentenza poteva essere interpretata come un primo passo verso una distinzione tra le diverse forme di "hacking": la prodezza gratuita non doveva essere posto sullo stesso piano del vandalismo o della truffa. 

Ma presto Kapor e Barlow si resero conto che la loro lotta non avrebbe avuto mai fine. Bisognava mirare molto al di là dei tribunali. Le reazioni di paura e di ostilità nei riguardi delle reti informatiche avevano sempre la stessa origine: l'ignoranza. La vera missione dell'Eff era dunque quella di educare l'America, i suoi ceti dirigenti, le sue élites, il paese in profondità: bisognava aiutarli a scoprire le potenzialità infinite di questo nuovo universo; e in ogni caso, far votare nuove leggi per estendere alle reti informatiche le tutele costituzionali delle quali beneficiano gli altri mezzi di comunicazione. I due fondatori costituirono rapidamente intorno a sé un nucleo di fedelissimi, esperti e militanti. L'Eff era divenuta un'istituzione. 

A cinque anni di distanza, la fondazione conta 3300 militanti attivi e attraverso i suoi centri di ricerca riceve il sostegno finanziario delle maggiori compagnie di elettronica, comprese anche quelle che sono in disaccordo con le sue attività. L'Eff vuole innanzitutto rimanere una "comunità virtuale" e fa tutto il possibile per far sentire la propria voce sulle reti. 

Gestisce numerose banche dati accessibili attraverso Internet, centri elettronici, servizi d'accoglienza per principianti, pubblicazioni on-line e promuove conferenze su tutte le grandi reti commerciali, quali Compuserve o America-On-Line, e su varie reti specializzate. 

Inoltre l'Eff si è costituita in vero e proprio gruppo di pressione, con una sede di tutto rispetto in un moderno edificio di Washington, vicinissimo alle sedi delle grandi amministrazioni; ha alle sue dipendenze una dozzina tra giuristi, tecnici e giovani operatori informatici che potrebbero facilmente passare per "hackers". Alla sua testa, un consiglio di amministrazione di dieci persone riflette la varietà dei suoi centri d'interesse. Il nuovo presidente è un giurista e la vice-presidente una donna d'affari, economista e giornalista. Il lobbying presso il Congresso e le istituzioni federali assorbe buona parte delle energie dell'organizzazione. L'Eff dispiega inoltre sforzi sistematici di pubbliche relazioni in direzione dei media, delle università, delle associazioni professionali, delle imprese, delle organizzazioni di difesa dei consumatori e dei diritti civili. Mitch Kapor è ovunque; fa parte persino della commissione consultiva di un'istituzione di indubbia ufficialità quali l'Information infrastructure task force (Iitf) che ha l'incarico di lanciare il progetto delle "autostrade dell'informazione". 

Ma nel direttivo dell'Eff figurano anche personalità quali John Gilmore, della Sun Microsystems, militante della Fondazione per la gratuità del software e creatore della sotto-rete alt. del forum Usenet, il luogo per eccellenza della libertà di parola su Internet. E vi figura anche Stuart Brand, fondatore della rete libertaria di San Francisco The Well organizzatore, dal 1984, della conferenza annuale degli "hackers". 

John Barlow, dal canto suo, ha preso in certa misura le distanze; scrive, tiene conferenze, è insomma il filosofo del "ciberspazio" e si autodefinisce ormai un "hippy mistico". Del resto, anche se l'Eff avesse avuto la tentazione di diventare un'organizzazione più consensuale, gli eventi non gliene avrebbero lasciato il tempo. L'Fbi, i servizi segreti, la National security agency (Nsa) e il ministero della giustizia non hanno rinunciato a imporre la loro concezione dell'ordine sulle reti. L'Eff non ha quindi mai potuto diradare la sua presenza presso i tribunali. Di fatto, per suo impulso, vari studi legali si sono specializzati in questo tipo di casi. La Fondazione presta il proprio soccorso a tutti coloro che considera ingiustamente perseguitati per azioni commesse su Internet, soprattutto quando il capo d'accusa solleva un problema costituzionale. 

La sua prima preoccupazione è quella di vigilare sul rispetto assoluto del primo emendamento della Costituzione americana, in difesa della libertà d'espressione sulle reti, qualunque sia l'uso che ne viene fatto, e contro qualsiasi censura, quali ne siano le motivazioni. Un compito a volte disagevole, poiché alcuni tra i suoi protetti non godono di una buona reputazione. 

Nel Gennaio 1995 a esempio Jake Baker, studente del Michigan, è stato arrestato per aver diffuso su Internet alcuni testi con descrizioni delle sue fantasie sessuali, scene immaginarie nelle quali violentava, torturava e infine assassinava una studentessa di sua conoscenza, indicata per nome. Immediatamente, l'Eff ha reso nota la propria posizione: "Non approviamo in alcun modo i discorsi improntati all'odio, ma riteniamo che a un discorso nefasto si debba non imporre la censura, ma rispondere con un discorso migliore. Sacrificare un diritto per proteggerne un altro significa perderli entrambi (1)". 

In nome del primo emendamento, Jake Baker ha ricevuto anche il sostegno di varie associazioni studentesche e dell'antichissima Aclu (Unione per le libertà civili). È stato scarcerato dietro cauzione, in attesa del processo. Più in generale, l'Eff sospetta alcuni giuristi e politici conservatori di utilizzare la repressione della pornografia quale pretesto per introdurre una prima censura su Internet, creando così un precedente per estenderla in seguito ad altri campi. 

Quale proprietà intellettuale? 

In privato, i responsabili dell'Eff insistono sulle loro convinzioni: la libertà di parola non tollera eccezione alcuna. 

Le misure adottate per far tacere i fanatici di ogni colore e i maniaci sessuali finiscono sempre per rivoltarsi contro la democrazia. Meglio tollerare i loro eccessi, se questo è il prezzo della libertà di tutti. In ogni modo, con l'emergere delle reti informatiche sarà sempre più difficile far tacere chiunque abbia accesso a un computer. 

Il discorso vale per l'intero pianeta: se gli altri paesi non gradiscono ciò che circola su Internet, nessuno li costringe a collegarsi. Se lo fanno, nessuno potrà impedire che i cittadini di quei paesi leggano e vedano cose che i loro governi vorrebbero vietare. 

Ma anche i gruppi intenzionati a restringere la libertà d'espressione su Internet sanno dar prova di immaginazione. A esempio la Chiesa di Scientology ha di recente denunciato alcune società che danno accesso a Internet adducendo una violazione dei diritti di riproduzione, perché in alcuni gruppi di discussione erano stati diffusi estratti dei suoi testi. Secondo l'Eff, il vero obiettivo di Scientology è quello di esercitare pressioni su queste società affinché sospendano i dibattiti, spesso molto critici nei riguardi della loro Chiesa, nei quali si esprimono anche atei militanti. In questa faccenda, l'Eff mira a ottenere dai tribunali una sentenza dalla quale emerga che un'azienda fornitrice di accesso a Internet non può essere ritenuta responsabile del contenuto dei messaggi che vi vengono trasmessi, così come una compagnia telefonica non è responsabile del contenuto delle conversazioni dei suoi abbonati. E tuttavia, fedele a se stessa, l'Eff incoraggia la Chiesa di Scientology a intervenire nei dibatti elettronici e a creare le sue proprie tribune. 

La libertà di informazione comprende tra l'altro il diritto dei cittadini ad avere accesso alle innumerevoli banche dati del governo, e in particolare a quelle che contengono informazioni sui privati. L'Eff si è dunque impegnata in un'altra battaglia di lungo respiro, che coinvolge la maggior parte degli enti e delle istituzioni federali. Il suo scopo ultimo è quello di ottenere un emendamento della legge sulla libertà d'informazione per estenderne l'applicazione agli schedari elettronici dello stato. 

L'Eff deve però affrontare anche problemi più ambigui e delicati, ai quali non ha una risposta chiara da dare. Si è arenata a esempio sulla questione spinosa della proprietà intellettuale delle opere che circolano sulle reti. L'interesse primario di Internet è la sua capacità di riprodurre, mettere a disposizione o inviare istantaneamente testi, suoni, immagini e software in qualunque parte del mondo. 

Nessun problema fintanto che gli utenti caricano sulla rete soltanto le loro creazioni, delle quali fanno dono alla "comunità virtuale". Ma cosa accade quando si tratta di opere altrui, o di quelle dei creatori che vogliono essere pagati per il loro lavoro? Come conciliare una giusta remunerazione degli autori, indispensabile ai fini della creazione, con il libero flusso dell'informazione? Come evitare il saccheggio delle opere intellettuali senza imporre barriere, restrizioni, sistemi di sorveglianza? 

I membri più radicali dell'Eff rivendicano l'abolizione pura e semplice del copyright. Uno dei giovani operatori informatici firma tutti i suoi messaggi in questo modo: "Considerate proprietà pubblica tutto ciò che penso, creo o esprimo. La proprietà intellettuale è anacronistica. Firmato: Anonimo (2)". 

Si tratta ovviamente di una posizione volutamente provocatoria, che fa sorridere i responsabili dell'Eff, i quali però sono d'accordo con il loro giovane collega su un punto: l'attuale legislazione americana sul copyright è obsoleta, non ha saputo adattarsi al fulmineo progresso tecnico determinato dalle reti. 

Come giustificare una legge che autorizza chiunque a consultare gratuitamente una rivista in una biblioteca, con una fotocopiatrice a portata di mano, mentre punisce severamente l'immissione di un solo articolo di questa stessa rivista su un computer collegato a una rete? E tuttavia, in questo settore delicatissimo l'Eff si accontenta di richiamare l'attenzione dei politici e dell'opinione pubblica sull'urgenza di riformare le leggi che frenano lo sviluppo delle reti e accentuano il pericolo di intrusioni poliziesche o amministrative. 

Il problema è particolarmente acuto per i software informatici, che interessano in particolare gli appassionati di Internet. In proposito, l'Eff fa notare che Internet non esisterebbe neppure se migliaia di ricercatori volontari non avessero creato e quindi diffuso gratuitamente i protocolli e i software grazie ai quali i computer possono collegarsi e dialogare tra loro. 

L'etica di Internet è fondata innanzitutto sull'aiuto reciproco e sulla condivisione del-l'informazione scientifica, unico vero motore del progresso. Un software impenetrabile è sterile: i suoi utenti non possono arricchire le loro conoscenze studiandone il funzionamento, non possono adattarlo alle loro esigenze specifiche né migliorarlo. L'assenza di una posizione ufficiale non ha impedito all'Eff di prendere nel 1993 le difese di David La Macchia, studente al Mit, che si era procurato illecitamente alcuni giochi informatici e dei software Pao (pubblicazione informatizzata) ancora inediti. In nome del vecchio principio della "libertà dei software", li aveva caricati sul suo sistema dimostrando poi che il mondo intero poteva collegarsi via Internet per telescambiarli. A scopo di depistaggio aveva creato un itinerario molto complesso, che passava tra l'altro per la Finlandia. 

Il fatto venne comunque denunciato alle autorità, e un procuratore federale si mise alla ricerca di un capo d'imputazione. Sorpresa: La Macchia aveva effettivamente commesso una violazione contro le leggi sul copyright, che poteva essere denunciata davanti ai tribunali civili, ma non a quelli penali, poiché non aveva cercato in nessun momento di trarne lucro. La giustizia distingueva così nuovamente, di fatto, tra i pirati voraci e quelli che agivano per convinzione o per il gusto di compiere una prodezza. Lo stato dovette ripiegare su un'imputazione per "wire fraud", capo d'accusa che si applica ai reati commessi tramite telefono. Ma nel Dicembre del 1994 La Macchia fu prosciolto: se mettere a disposizione un software non è un reato penale, il fatto che le reti siano state utilizzate da terzi per telecaricarlo lo è ancora meno. La sentenza ha inferto un grave colpo ai distributori di software, ma non ha risolto la questione di fondo. Quanto meno, è ormai chiaro per tutte le parti che la soluzione non deve essere ricercata nei testi legislativi, bensì nella tecnica. 

Sicurezza e riservatezza La grande battaglia che impegnerà l'Eff negli anni a venire riguarda precisamente le tecnologie della sicurezza e della riservatezza delle informazioni. Si tratta della questione di gran lunga più complessa, che incombe sugli esperti e sui responsabili di tutto il mondo, e presenta infinite implicazioni politiche, tecniche, commerciali e strategiche. In un certo senso, è qui che va ricercata la soluzione di tutti gli altri problemi. 

Fin dalla sua creazione, l'Eff si era confrontata con l'aspetto più classico del problema della riservatezza: la violazione della corrispondenza. Su questo primo punto ha vinto una battaglia nel 1993, dopo una procedura durata tre anni, grazie all'"affare Steve Jackson", dal nome del giovane ideatore di un videogioco sospettato dall'Fbi di aver diffuso un "manuale del pirata informatico". Fin dal suo arresto, gli agenti federali avevano sequestrato i computer della sua società e letto la sua posta elettronica. 

In seguito alla denuncia dell'Eff, un tribunale ha stabilito che si era trattato di un abuso, in quanto il loro mandato di perquisizione non menzionava l'intercettazione della corrispondenza. Dopo questa sentenza, la posta elettronica si è trovata a beneficiare dello stesso status giuridico di quella "classica", cioè della tutela da parte delle leggi che garantiscono il rispetto della vita privata dei cittadini. 

Ma in questo campo, l'Eff punta innanzitutto sul progresso tecnico, dato che secondo molti esperti il rimedio miracoloso esiste già: è la cifratura dei dati. In questi ultimi anni la criptografia ha fatto progressi da gigante. Esistono ormai metodi di cifratura facilissimi da usare, anche dai non esperti, e praticamente inviolabili, persino da parte dei più potenti computer della National security agency. Improvvisamente, le autorità federali si sono trovate sulla difensiva. Due computer, in due punti qualsiasi del pianeta, possono ormai comunicare tra loro senza che il messaggio possa essere decifrato da chicchessia. Per il governo, si trattava di un attacco intollerabile alla sicurezza nazionale: tutte le mafie del pianeta, tutti i gruppi terroristici, tutti i paesi ostili agli Stati uniti e in via accessoria anche tutti i cittadini americani avrebbero potuto sottrarsi alla sua sorveglianza. 

Il governo ha quindi contrattaccato su due fronti, ma è stato battuto due volte, segnatamente dall'Eff. Fin dal 1992 l'Fbi aveva tentato di imporre agli industriali dell'informatica una norma di cifratura nota sotto il nome di "clipper", della quale deteneva una chiave universale. Il suo piano rientrava nell'ambito del progetto di legge Digital telephony bill e prevedeva che venisse reso obbligatorio l'impianto di un micro-chip del tipo clipper ("clipper chip") in tutti i microcomputer e telefoni digitali venduti negli Stati uniti. Un messaggio inviato con questa cifratura sarebbe dunque inviolabile, ma non per l'Fbi. Ma dopo due anni di battaglie in seno alle commissioni del Congresso, l'Eff è riuscita a dissociare il caso delle reti informatiche da quello della telefonia. La norma di Stato è dunque facoltativa, e dal punto di vista commerciale il "clipper chip" si è risolto in un fiasco. 

Inoltre, il governo ha tentato di impedire la diffusione di nuove norme di cifratura e di rallentare la ricerca indipendente in questo settore. Inutilmente. Il software oggi più perfezionato, battezzato semplicemente Pgp (Pretty good privacy, o "riservatezza di buon livello") è sfuggito a ogni controllo. 

Il suo autore Philip Zimmermann, ricercatore autodidatta e libertario militante, lo stava mettendo a punto quando venne a sapere che il governo aveva in preparazione una norma che lo avrebbe posto fuori legge. Accelerò quindi i tempi e, una volta perfezionato il programma, lo caricò su Internet. Il successo fu istantaneo. 

Il governo, preso in contropiede, non fu in grado di impedire ai cittadini americani di impossessarsi di questo nuovo "linguaggio", protetto dal primo emendamento della Costituzione; ma trovò un sistema per dare del filo da torcere a Philip Zimmermann e ai suoi emuli: la legge sul controllo delle esportazioni di armamenti. Tenuto conto del loro valore strategico, le norme di cifratura non possono essere esportate senza una preventiva autorizzazione del dipartimento di stato. 

Dato che il programma Pgp non poteva ragionevolmente essere considerato come un "armamento", il governo decretò che si trattava di una "munizione". Con la diffusione del suo software su Internet, Zimmermann aveva dunque commesso il reato di esportazione illegale. 

In una società aperta come quella statunitense, questa interpretazione estensiva della legge è poco realistica e pericolosa, in quanto abbastanza vaga per poter essere applicata in circostanze imprevedibili. A esempio, il ricercatore Daniel Bernstein, giovane matematico dell'università di Berkeley, si è trovato in una posizione incredibile: in quanto esperto in criptografia, desiderava discutere le sue ricerche, secondo l'uso, con i suoi colleghi americani attraverso Internet. Ma a impedirglielo è intervenuta la Nsa e quindi il dipartimento di stato, secondo il quale qualsiasi dibattito pubblico su Internet è assimilabile all'esportazione. L'Eff è passata allora all'attacco, denunciando il governo per violazione dei diritti civili di Daniel Bernstein, che si riteneva inibito nella sua libertà d'espressione. In senso più generale, l'Eff accusa il governo di incoerenza, dato che la cifratura offre la soluzione di tutti gli altri problemi che lo assillano. Garantendo la riservatezza di tutti i tipi di messaggi, il software Pgp renderebbe assai più difficili le truffe e gli atti di vandalismo (3)

Abbinata ad altre tecniche, come quella del "contante numerico automatico" ("Digicash"), questa cifratura permetterebbe inoltre di effettuare transazioni finanziarie, anonimamente e in piena sicurezza, sulle reti pubbliche e aperte quali Internet. Il programma Pgp presenta dunque uno spiraglio per risolvere la questione della proprietà intellettuale: da un lato, tutti i files dotati di un valore commerciale, benché "identificati", potrebbero presto circolare liberamente sul "Net", mentre dall'altro a ogni abbonato a un sistema del tipo "Digicash" si assegnerebbe un "conto virtuale" il quale sarebbe automaticamente e anonimamente addebitato non appena venisse caricato uno di questi files. Sono già stati effettuati su Internet vari test in grandezza naturale con denaro fittizio (4)

Questa volta, nella sua lotta contro lo stato, l'Eff può contare sull'appoggio delle maggiori imprese: il "ciberspazio" diverrà forse un mercato di dimensioni planetarie. 

Nel frattempo, il software Pgp è liberamente diffuso negli Stati uniti e qualunque utente di Internet, dovunque si trovi, può scambiare il software e le relative istruzioni per l'uso gratuitamente e nel più completo anonimato. L'Eff usa regolarmente il Pgp e lo raccomanda ai suoi corrispondenti. E recentemente ha insignito Zimmermann, tuttora in attesa di essere ufficialmente incriminato, del suo prestigioso "Pioneer Award", il premio del pioniere. 

I responsabili dell'Eff sono consapevoli di essersi lanciati in una guerra che non avrà mai fine, nella quale qualsiasi vittoria non può essere che provvisoria: è questa la regola del gioco in democrazia. Hanno appena preso in affitto nuovi locali per ingrandire i loro uffici, e non hanno ancora voluto far sapere a chi saranno destinati; ma nessuno crede che siano destinati a rimanere vuoti a lungo. 
 
 

Note

(1) Effector (on-line newsletter). Per posta elettronica: er@eff.org. 

(2) Cfr. Selena@eff.org. 

(3) È stato chiesto recentemente a Tsutomu Shumomira, l'uomo che ha aiutato l'Fbi ad arrestare il pirata Kevin Mitnick, se esiste un mezzo per impedire in avvenire questo genere di delinquenza. La sua risposta è stata: "Una buona cifratura", Newsweek, 24 Aprile 1995. 

(4) Cfr. in particolare su World Wide Web, http: //www.digicash.com.

 
 
 
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