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Plagio: la problematica penalistica
 
Il Plagio tra realtà e negazione.
 
A cura del Dott. Giovanni Flora, ordinario di Diritto Penale presso l'Università di Ferrara.
 
Tratto da La persuasione socialmente accettata, il plagio e il lavaggio del cervello, Vol. I, a cura del Dott. Mario di Fiorino, Centro Studi di Psichiatria & Territorio, Forte dei Marmi (Lu). 1990-1991.
 
 
 
 
 
È proprio l'esperienza a dimostrare che l'identità personale può essere calpestata e distrutta [... da una condotta ...] dolosamente indirizzata a determinare un vero e proprio stato di isolamento dagli altri del soggetto passivo con impedimento ad attingere a fonti diverse da quelle imposte dallo stesso soggetto attivo e con deterioramento della capacità di autodeterminazione. Infine è appena il caso di sottolineare che del tutto privo di efficacia esimente sarebbe l'eventuale consenso dell'offeso, trattandosi di bene indisponibile ed essendo normalmente il consenso viziato (violenza, minaccia, inganno, suggestione o preesistente stato di minorazione). Come pure è appena il caso di sottolineare che altro è procedere ad un auto-isolamento o ad una auto-distruzione consapevoli, altro è consentire che altri vi proceda.
 
 
L'attualità della problematica penalistica del plagio
 
La problematica penalistica del plagio rimane ancora quanto mai attuale, nonostante l'abrogazione dell'art. 603 c.p. ad opera della Corte Costituzionale (sentenza 8 Giugno 1981, n. 96)  [1]  norma che puniva, appunto, fatti espressamente qualificati come "plagio" nella rubrica legis. E ciò perché è pur sempre rimasta la consapevolezza  [2] (ed in taluno anche la "nostalgia")  [3] di una lacuna nella tutela penale della persona da attacchi tanto subdoli quanto devastanti, sia perché proprio recentemente (Aprile 1988) un disegno di legge governativo (Russo Jervolino-Vassalli) ha riproposto sotto il nome di "Atti lesivi della capacità di autodeterminazione del minore" la incriminazione di fatti qualificabili, alla stregua della terminologia diffusasi con il codice del 1930, come "plagio"  [4] 
 
 
 
Il plagio nell'art. 603 c. p.
 
Come è noto, vigente l'art. 603 c.p., erano state elaborate in via interpretativa tre diverse concezioni di plagio, cronologicamente succedutesi nell'ordine seguente  [5] 
 
     
  1. Una prima concezione che - se ci è consentito - è concettualmente definibile come "ottocentesca", secondo la quale il plagio consiste nella instaurazione di un dominio fisico-materiale (con corrispondente soggezione dello stesso tipo) sostanzialmente equivalente (di fatto) alla schiavitù.
  2.  
  3. Una seconda concezione che, proseguendo nel paradosso, potremmo chiamare "medioevale", secondo la quale esso consiste nella instaurazione di un dominio psichico, indotto mediante suggestione (cui corrisponde una soggezione dello stesso tipo), con conseguente eterodirezione della volontà e, secondo alcuni, determinazione di uno stato di incapacità di intendere e di volere (identica o meno, a seconda delle diverse tesi, a quella di cui all'art. 85 c.p.)  [6] 
  4.  
  5. Una terza più moderna concezione, secondo la quale il plagio consiste in un condizionamento psicologico con deterioramento della personalità a seguito della riduzione in completo stato di isolamento dagli altri ("dal resto del mondo"), ponendosi il plagiante come esclusivo interlocutore del plagiato  [7] 
  6.  
 
Il "diritto vivente" (la giurisprudenza, per intenderci) era orientato essenzialmente verso la seconda concezione. Stando così le cose, la Corte Costituzionale ha avuto buon gioco nel cancellare la norma incriminatrice dall'ordinamento per difetto di determinatezza in riferimento all'art. 25/2° Cost.; adducendo essenzialmente l'inverificabilità del fatto contemplato dalla fattispecie, l'impossibilità comunque del suo accertamento con criteri logico razionali, l'intollerabile rischio di arbitri dell'organo giudicante  [8] 
 
 
 
Le prospettive de iure condendo: impostazione del problema
 
Sgombrato il campo dell'indagine dai condizionamenti dell'esistenza di una norma incriminatrice, il problema può dunque essere riesaminato funditus e più serenamente nella prospettiva dell'eventuale creazione di una "nuova" fattispecie penale. Essendo il diritto penale un insieme di norme poste a tutela di beni di rilevanza costituzionale, concettualmente "afferrabili" nella loro reale consistenza, da ben delimitate tipologie di aggressione, previste da leggi costruite in termini tassativi  [9]  si tratta dunque di procedere ad una serie di verifiche. E più precisamente: qual è il bene o valore del quale si pone l'esigenza di tutela; se esso possa aspirare ad essere tutelato penalmente possedendone i requisiti del rilievo costituzionale e della afferrabilità concettuale; in relazione a quali tipologie di aggressione e a quale grado di lesività si giustifica l'intervento della sanzione penale; se è possibile la costruzione di una norma generale di tutela in termini sufficientemente determinati, tali da evitare l'arbitrio dell'organo giudicante.
 
 
 
L'individuazione del bene giuridico da proteggere
 
Riguardo al primo punto è innegabile che nella comunità sociale è sempre più avvertita l'esigenza di una protezione della personalità individuale dell'uomo, della sua integrità psichica oltre che di quella fisica  [10]  l'esigenza, insomma, di tutela della "propria" identità di essere pensante, unico ed irripetibile  [11]  Questa si traduce nella aspirazione, innanzitutto, alla libertà da ingerenze "ossessive" nel momento di formazione e sviluppo della personalità  [12] ed alla salvaguardia non solo dalle azioni che comunque compromettano l'integrità, ma anche da quelle che compromettano il carattere "proprio" della personalità (della persona psichica); oltre che, ovviamente, da quelle che ne ledano la funzionalità. Ora non vi è dubbio che l'interesse alla salvaguardia della personalità individuale, del patrimonio psichico dell'uomo, sia nel suo aspetto "statico" che in quello "dinamico", oltre a trovare implicito riconoscimento negli artt. 2 e 3 della Costituzione, costituisce il presupposto stesso perché possano essere effettivamente fruiti tutti quei diritti di libertà e consapevolmente adempiuti i doveri di solidarietà che la Costituzione rispettivamente garantisce e impone. Si tratta dunque di un bene di sicuro rilievo costituzionale. Ma - sorge spontaneo il quesito - si tratta solo di una pura aspirazione ideale, pur costituzionalmente conclamata, priva di un concreto riscontro nella realtà? Ha una consistenza tale da poter aspirare al rango di bene giuridico penalmente tutelabile? A sostegno della risposta negativa si potrebbero infatti addurre due contrapposti ordini di considerazioni.
 
Da un lato si potrebbe infatti osservare che la singolarità dell'"io" è, come tale, inattaccabile, inoffendibile, per cui nessuna condotta aggressiva, per quanto incalzante sia, potrebbe mai scalfirla  [13]  Da un altro lato ed in senso opposto, si potrebbe sostenere, in una prospettiva essenzialmente deterministica  [14]  che questa pretesa singolarità dell'essere nella sua dimensione morale è un'ipocrita finzione, essendo la persona psichica la risultante di una serie incalcolabile di condizionamenti da quelli biopsichici, ereditari o acquisiti, a quelli socio economici a quelli dei comuni rapporti interpersonali ecc., per cui sarebbe impossibile individuare una sua "reale" configurazione "propria". In coda a questa osservazione si potrebbero poi rilevare che non solo sarebbe arduo, se non impossibile, sceverare i condizionamenti "causali" rispetto ad una determinata condizione soggettiva  [15]  ma sarebbe anche pericoloso per l'altrui libertà  [16] 
 
Infine, si potrebbe ulteriormente far notare, che l'identità psichica della persona rimane pur sempre avvolta da un'ineliminabile componente di mistero (ma quand'è che uno è "se stesso"?).
 
Ebbene, al di fuori di ogni sterile polemica filosofica e pur condividendo in certa misura i richiami alla misteriosità dell'io (dalla quale derivano le non poche difficoltà che si incontrano nella costruzione della tutela penale), è proprio l'esperienza a dimostrare che l'identità personale può essere calpestata e distrutta. Anzi è proprio di fronte al singolo episodio lesivo che emerge anche nella sua dimensione concettuale, la "realtà" del valore costituito dalla personalità individuale  [17] 
 
 
 
La selezione delle condotte aggressive da incriminare
 
Posto dunque che il valore in questione ha una rilevanza costituzionale ed ha una sua consistenza reale (è "afferrabile"), pur con i limiti anzidetti, si tratta ora di stabilire quali condotte condizionanti la persona psichica possano in via ipotetica ritenersi meritevoli di considerazione ai fini della costruzione di una norma incriminatrice. Premesso che la formazione e sviluppo della personalità individuale è la risultante anche dei reciproci condizionamenti interpersonali e che la propaganda delle proprie idee finalizzata alla altrui persuasione è diritto costituzionalmente garantito e non può quindi essere di per sé criminalizzata, la condotta non potrà che assumere caratteri di vessatorietà o fraudolenza  [18] in senso ampio, che già ne evidenzino il significato di disvalore, oltre a presentarsi idonea in concreto, anche in considerazione delle condizioni del soggetto passivo, a ledere il bene protetto  [19] 
 
Specificando ulteriormente, questa non potrà che assumere veste di continuità ed essere dolosamente indirizzata a determinare un vero e proprio stato di isolamento dagli altri del soggetto passivo con impedimento ad attingere a fonti diverse da quelle imposte dallo stesso soggetto attivo e con deterioramento della capacità di autodeterminazione. A mio avviso sarà indifferente che la condotta provochi prima una condizione di deterioramento psichico e conseguentemente un isolamento dagli altri o viceversa. Da quanto detto è chiaro che un'eventuale incriminazione dovrebbe preferibilmente fondarsi sulla effettiva lesione del bene protetto, pur se sarebbe legittima anche un'anticipazione della tutela a livello del pericolo concreto.
 
Infine è appena il caso di sottolineare che del tutto privo di efficacia esimente sarebbe l'eventuale consenso dell'offeso  [20]  trattandosi di bene indisponibile ed essendo normalmente il consenso viziato (violenza, minaccia, inganno, suggestione o preesistente stato di minorazione). Come pure è appena il caso di sottolineare che altro è procedere ad un auto-isolamento o ad una auto-distruzione consapevoli, altro è consentire che altri vi proceda (come è dimostrato dal diverso trattamento del suicidio e dell'omicidio del consenziente)  [21] 
 
 
 
La problematica costruzione di una norma incriminatrice conforme al principio di determinatezza
 
A questo punto, constatato che in linea teorica risulta, anche in prospettiva costituzionale, fondata la pretesa di tutelare penalmente l'integrità della persona psichica da determinate condotte aggressive e che le norme attuali sono inidonee a cogliere adeguatamente il complessivo disvalore del fatto  [22]  si pone il problema più arduo: quello della creazione di un'apposita fattispecie incriminatrice, costruita in termini sufficientemente tassativi; cioè, con quella necessaria chiarezza e precisione idonee ad evitare arbitri del giudice penale. Diciamo subito che non risponderebbe a tali requisiti una norma che ricalcasse l'abrogato art. 603 c.p.
 
Nonostante che autorevole dottrina, con argomentazioni quanto mai acute, abbia ricostruito la norma in questione in modo da conferirle un significato che si avvicina molto allo schema di tutela dinanzi prospettato  [23]  non ci si può nascondere che essa risulta intrinsecamente ambigua e tale da giustificare anche diverse e quanto mai pericolose interpretazioni.
 
Non solo; ma occorre altresì sottolineare che il principio di determinatezza richiede che la norma incriminatrice sia comprensibile (nel suo univoco significato di disvalore) non solo dal giudice, ma anche dal cittadino  [24]  Non v'è dubbio, invece, che una formula quale quella del famigerato art. 603 c.p., se può essere colta nel suo "vero" significato dal tecnico (peraltro con notevole sforzo interpretativo), non lo può certo essere agevolmente dal cittadino  [25] 
 
Ciò premesso, anche concepire una diversa formulazione sufficientemente tranquillizzante non risulta affatto facile. Ed infatti non risulta del tutto soddisfacente nemmeno quella del "nuovo" art. 549 c.p. contenuta nel progetto di legge governativo a tutela della personalità del minore (d.d.l. ad iniziativa dei ministri Russo Jervolino e Vassalli comunicato alla Presidenza del Senato nell'aprile 1988), pur costituendo certo il più serio tentativo finora operato di approntare una tutela penale della personalità individuale in forma tassativa.
 
A dare adito a qualche perplessità, oltre il riferimento anche alla condotta suggestiva, è soprattutto la configurazione dell'evento qualificato come "stato di soggezione tale da escludere o limitare grandemente le libertà personali e la capacità di sottrarsi alle imposizioni altrui", il cui esatto significato non sembra facilmente afferrabile, né risulta maggiormente chiaro alla luce della rubrica ("Atti lesivi della capacità di autodeterminazione del minore").
 
Vero è che sia la condotta che l'evento offensivo, per loro stessa natura non si lasciano descrivere con elementi ricostruibili in termini rigorosamente logico-razionali, depurati da qualsiasi componente emozionale; a meno di non voler utilizzare una caotica tecnica casistica che, come ormai noto, presenta identici se non maggiori inconvenienti sotto il profilo della tassatività, senza nemmeno il vantaggio di assicurare un'adeguata tutela. E ciò, nonostante che, come già sottolineato, siano proprio i singoli, concreti episodi a far quasi tangibilmente emergere sia la consistenza dell'offesa che il disvalore della condotta.
 
D'altra parte, nemmeno risulterebbe praticabile la strada dell'utilizzazione del dolo specifico come elemento in grado di conferire maggior determinatezza alla previsione legislativa. Infatti o si dovrebbe far leva su una qualificazione del fine in termini di vantaggio economico ("lucro")  [26]  conducendo così la fattispecie a schemi "ottocenteschi", inadatti a reprimere le attuali forme di "manipolazione" della personalità individuale; oppure si dovrebbe ricorrere ad una connotazione in termini di generico "profitto" o "vantaggio", finendo così per vanificare l'intento delimitativo che ci si proponeva di raggiungere  [27] 
 
La creazione di una norma di carattere generale sembra dunque comportare inevitabilmente un rischio, più o meno consistente, di applicazioni arbitrarie. Non rimane dunque che rassegnarci alla episodica e inappagante tutela apprestata dalle norme esistenti (violenza privata, minaccia, sequestro di persona, lesioni personali, circonvenzione di incapace, ecc.)?
 
 
 
L'ipotesi alternativa di una tutela penale incentrata sull'inosservanza del provvedimento del giudice civile
 
A nostro parere si potrebbe elaborare un diverso schema di tutela; proprio muovendo dalla considerazione che è dalla constatazione di singole vicende concrete che si evidenziano sia l'offesa che la carica di disvalore della condotta. Si potrebbe cioè prevedere che, di fronte a condotte costituenti un serio e concreto pericolo per l'integrità della personalità individuale, determinati soggetti legislativamente indicati (tra i quali - a nostro avviso - il pubblico ministero presso il Tribunale) possano ricorrere al giudice civile (Presidente del Tribunale o Presidente del Tribunale per i minorenni, in caso di soggetti passivi minorenni) il quale, con provvedimento d'urgenza, sentite le parti ed esaminata la persona indicata come vittima, sia legittimato ad inibire il comportamento pericoloso contestato. La sanzione penale, poi, in questa prospettiva, dovrebbe essere ricollegata all'inosservanza del provvedimento del giudice civile, sulla traccia di quanto già previsto dall'art. 388 c.p.  [28] 
 
Un tale meccanismo di tutela, che non dovrebbe incontrare ostacoli nella sistematica civilistica in ordine a vittime minorenni, mentre andrebbe opportunatamente modellato in relazione a quelle maggiorenni, avrebbe certo il vantaggio di intervenire in via preventiva (prima che la personalità individuale sia menomata) e di non comportare alcun problema di conformità ai canoni della determinatezza. Tuttavia, di fronte a lesioni già completamente verificatesi, potrebbe solo consentire la cessazione della condotta di mantenimento in istato di soggezione-isolamento. Gli attentati più gravi rischierebbero così di rimanere impuniti.
 
 
 
Considerazioni conclusive
 
Ed allora, viene da pensare che l'alternativa che si pone è forse drastica: o si crea una norma incriminatrice generale che, per quanto ci si sforzi di rendere tassativa, comporterà sempre un rischio più o meno consistente di arbitrii; oppure si rinuncia ad una efficace tutela della personalità individuale, proprio dagli attacchi più subdoli e devastanti. Ci si trova così dinanzi ad una scelta tra valori in conflitto la quale non può che dipendere dal grado di penetrazione che ciascuno di essi ha in seno alla comunità sociale in un dato momento storico.
 
Deve conclusivamente sottolinearsi, però, che in base ai principi costituzionali del nostro sistema penale, una scelta favorevole alla incriminazione potrebbe legittimamente operarsi solo se su di essa si formasse un consenso ben più ampio di quello della semplice "maggioranza"; essendo questo il più profondo significato da attribuire oggi al principio di riserva di legge in materia penale contenuto nell'art. 25/20 co. Cost.
 
 
 
Note
 
[1] Giur. Cost. 1981, I, 806 s. con nota di GRASSO (P.G.) (Controllo sulla rispondenza alla realtà empirica delle previsioni legali di reato); Riv. it., 1981, 1147 s., con nota di BOSCARELLI (A proposito del principio di tassatività).
 
[2] BOSCARELLI (N. 1), 1151; COPPI, Plagio, in Enc. dir., 943 s.; DEL RE, Modellamento psichico e diritto penale: la tutela penale dell'integrità psichica, Scritti in memoria di G. Delitala, Milano, 1984, I, 309 s.
 
[3] Si veda, ad es., la relazione del prof. BELUFFI a questo Convegno.
 
[4] Il testo del progetto, e della relativa relazione, è pubblicato su Indice pen., 1988, 305 s.
 
[5] Per un quadro sintetico, COPPI (n. 2), 939 s. Per un esame critico più diffuso, FLICK, La tutela della personalità nel delitto di plagio, Milano, 1972, 1 s.
 
[6] Per la prima tesi, ZUCCALÀ, Il plagio nel sistema italiano di tutela della libertà. Riv. it., 1972, 369; per la seconda tesi, NUVOLONE, Considerazioni sul delitto di plagio, Schw. Zeit. Str., 1969, 346 s.
 
[7] Si tratta, come è noto, della tesi di FLICK (n. 5), 127 s.
 
[8] Parte della dottrina, del resto, aveva già espresso forti dubbi sulla compatibilità della norma in questione con il principio di tipicità (o determinatezza). V., in particolare, TURSI, Principi costituzionali e reato di plagio, Arch. pen., 1969, Il, 344 s.. Nel senso della compatibilità v., invece, COPPI (n. 2), 943 s.; FLICK (n. 5), 159 s.; GRASSO (P.G.) (o. 1), 823 s.; nonché, ZUCCALA' (n. 6), 380 s.
 
[9] Per tutti, BRICOLA, Teoria generale del reato, NN.D.I, XIX, 38 s. e 81 s.; FINDACA-MUSCO, Diritto penale, (p.g.), Bologna, 1985,2 s.; nonché, MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 1988, 77 s. e 200 s.
 
[10] COPPI (n. 2), 943; DEL RE (n. 2), 309; NUVOLONE, Plagio (Giur. sotto obiettivo). Indice pen., 1968,81; nonché, VASSALLI, Il diritto alla libertà morale, (Contributo alla teoria dei diritti della personalità), Studi in memoria di F. Vassalli, 11, Torino, 1960, 1637.
 
[11] Sottolinea questo aspetto, PALAZZO, Persona (delitti contro la), Enc. dir., XXXIII, 303-304V. anche DEL RE (o. 2), 308.
 
[12] PALAZZO (n. 11), 304; nonché, VASSALLI (n. 10), 1674. Con riferimento al nostro specifico tema v. altresì, TURSI (n. 8), 355-356.
 
[13] V., particolarmente, MERCADANTE, Osservazioni sul caso Braibanti, Giur. mer., 1969, 11, 404.
 
[14] Si da carico di una tale possibile obbiezione, pur se in una diversa prospettiva, NUVOLONE (n. 6), 345.
 
[15] Per considerazioni simili, sia pure in chiave problematica, v. FLICK, Libertà individuale (delitti contro). Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 545-546 e gli AA. ivi citati.
 
[16] Tale pericolosità è avvertita anche dagli autori sensibili alla necessità di tutela della personalità individuale. V., ad. es., DEL RE (n. 2), 312 s.; FLICK (n. 6), 156 s.; TURSI (n. 8), 358 s..
 
[17] V., in modo particolare incisivo, SATTA, Osservazioni sul caso Braibanti, Giur. mer. 1969, Il, 401.
 
[18] Similmente, TURSI (n. 8), 358, già con riferimento all'interpretazione dell'abrogato art. 603 c.p..
 
[19] La necessità di far luce sulle modalità della condotta è sottolineata, in prospettiva de iure condendo, da DEL RE (n.. 2), 349.
 
[20] Per tutti, FLICK (n. 5), 164; nonché, già, PEDRAZZI, Consenso dell'avente diritto. Enc. dir., IX, Milano, 143.
 
[21] FLICK (n. 5), 167.
 
[22] L'insufficienza delle attuali fattispecie incriminatrici a surrogare adeguatamente la tutela approntata dall'art. 603 e sottolineata in particolare da COPPI (n. 2), 943 e da DEL RE (n. 2), 308 e 345, secondo il quale nemmeno la norma che incrimina le lesioni personali (art. 583 c.p.) laddove fa riferimento all'evento offensivo costituito da una malattia nella mente, sarebbe confacente allo scopo.
 
[23] Intendiamo ovviamente riferirci alla nota tesi di FLICK (n. 2).
 
[24] Per tutti, BRICOLA, La discrezionalità nel diritto penale, Milano, 1965, 294 s.; MANTOVANI (n. 9), 98-99; NUVOLONE, Il sistema di diritto penale, Padova, 1982, 40 e 56; PALAZZO, Il principio di determinatezza nel diritto penale, part. 51 s. e 104s.; RONCO, Il principio di tipicità della fattispecie penale, Torino, 1979, 93 s.
 
[25] ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, p.s. I, Milano, 1981 (8a ed.), 8-10.
 
[26] Com'è noto il fine di lucro veniva inserito, in via interpretativa, nella fattispecie dell'abrogato art. 603 c.p. dalla giurisprudenza e dottrina meno recenti. In proposito v. COPPI (n. 2), 934s.; nonché FLICK (n. 5), 10s..
 
[27] Il DEL RE (n. 2), propone di inserire, eventualmente, nella fattispecie da creare il dolo specifico consistente nel fine di "modellamento" o di "domesticamento" (v. p. 349). A nostro sommesso avviso anche la previsione di un tale requisito non sarebbe idonea allo scopo delimitativo, finendo in sostanza per coincidere con la coscienza e volontà del fatto materiale tipico e rischierebbe di far assumere alla norma, in fase interpretativa, una connotazione accentuatamente soggettiva.
 
[28] Sui delicati problemi che comunque pone il ricorso a tale schema di tutela v., da ultimo PALAZZO, Tutela dei diritti, tutela del provvedimento giurisdizionale e categorie penalistiche, Riv. it.,1988, 514s., il quale sottolinea, peraltro, come la tecnica di costruzione della fattispecie penale incentrata sull'inosservanza del provvedimento del giudice civile viene suggerita proprio per superare le difficoltà di formulazione sufficientemente determinata di una fattispecie incentrata invece sulla tutela "diretta", dell'interesse da proteggere.
 
 
 
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