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Dopo la campagna contro gli elementi di destra nessuno apre più bocca 

Di Jung Chang.

Estratti da Cigni Selvatici, Superpocket, ISBN 88-462-0090-X.

La Cina ridotta al silenzio (1956-1958) 

Eravamo senza bambinaie e mia madre aveva l'obbligo di presentarsi ogni sera a rapporto in base alla legge sulla libertà vigilata, quindi noi bambini dovemmo restare negli asili. Del resto, mia madre non avrebbe potuto comunque badare a noi, presa com'era dalla «corsa verso il socialismo» - come recitava una canzone della propaganda - insieme col resto della società cinese.

Durante il periodo di reclusione di mia madre, Mao aveva dato un forte impulso al tentativo di cambiare il volto della Cina: nel luglio del 1955 aveva lanciato un appello per accelerare la realizzazione di cooperative agricole, e in novembre aveva improvvisamente annunciato che tutta l'industria e il commercio, rimasti fino a quel momento in mano ai privati, sarebbero stati nazionalizzati. Mia madre fu gettata a capofitto in quel movimento. In teoria, lo Stato avrebbe dovuto gestire le imprese in comproprietà con i proprietari precedenti, che per vent'anni avrebbero avuto diritto al cinque per cento del valore della propria azienda. Dato che ufficialmente l'inflazione non esisteva, si sosteneva che in tal modo i vecchi proprietari sarebbero stati rimborsati integralmente. Inoltre dovevano rimanere nell'azienda in qualità di dirigenti in cambio di uno stipendio relativamente alto, ma sempre sono la supervisione di un membro del Partito.

Mia madre fu nominata responsabile di una squadra di lavoro che doveva sovrintendere alla nazionalizzazione di oltre un centinaio di aziende alimentari, panetterie e ristoranti che si trovavano nel suo distretto. Quell'importante incarico le venne affidato nonostante il fatto che dovesse presentarsi ogni sera a rapporto e non potesse neanche dormire nel proprio letto.

Il Partito l'aveva bollata con una stigmatica definizione: kong-zhi shi-yong, che significa «da utilizzare soltanto sotto controllo e sotto sorveglianza» e, anche se la cosa non era di dominio pubblico, lo sapevano lei e tutti coloro che avevano a che fare con il suo caso. I membri della sua squadra di lavoro sapevano che era stata in reclusione per sei mesi, ma non erano a conoscenza del fatto che era sempre sotto sorveglianza.

[…]

Dopo diciotto mesi di ansia, era completamente riabilitata. Aveva avuto fortuna: in seguito alla campagna, più di centosessantamila uomini e donne vennero etichettati come «controrivoluzionari», e la loro vita fu rovinata per trent'anni. Fra loro c'erano alcuni degli amici di mia madre a Jinzhou che avevano fatto parte del direttivo della Lega Giovanile del Kuomintang: marchiati sommariamente come controrivoluzionari, furono privati dell'impiego e mandati a svolgere lavori manuali.

Questa campagna, tesa a estirpare anche le ultime vestigia del passato del Kuomintang, esaminava al microscopio l'ambiente familiare e le frequentazioni di ciascuno. Nel corso della storia cinese era accaduto di tanto in tanto che, nel caso di una condanna inflitta a una persona, l'esecuzione capitale venisse comminata a tutto il suo clan: uomini, donne, bambini e persino neonati. A volte le esecuzioni si estendevano fino ai cugini di nono grado (zhu-lian jiu-zu): quindi essere accusati di un reato poteva mettere in pericolo la vita di tutto il parentado.

Fino a quel momento i comunisti avevano accolto nei loro ranghi anche persone dal passato «scomodo», e molti figli o figlie di nemici avevano raggiunto posizioni elevate. Anzi, molti capi comunisti della prima ora provenivano anch'essi da famiglie «sbagliate». Dopo il 1955, però, le origini familiari assunsero un peso sempre maggiore. Con il passare degli anni, mentre Mao scatenava una caccia alle streghe dopo l'altra, il numero delle vittime cresceva in maniera vertiginosa e ognuna ne portava con sé molte altre, inclusi in primo luogo i parenti più stretti.

Nonostante queste tragedie personali, o forse anche a causa dei controlli ferrei, nel 1956 la Cina era più stabile di quanto fosse mai stata nel corso del secolo: occupazioni straniere, guerra civile, morte per fame, banditi e inflazione sembravano appartenere al passato. La stabilità, sogno di tutti i cinesi, sosteneva la fede di gente come mia madre attraverso le sofferenze.

[…]

Anche mia madre non aveva con noi un contatto fisico intenso come avrebbe voluto, ma nel suo caso si trattava di un altro ordine di regole, quello dello stile di vita puritano imposto dal regime comunista. Al principio degli anni '50, un comunista doveva dedicare tutto se stesso alla rivoluzione e al popolo, al punto che ogni dimostrazione di affetto per i figli era malvista, in quanto segno di un cuore diviso. Ogni ora del suo tempo, a parte quelle necessarie per mangiare o dormire, apparteneva alla rivoluzione, e doveva essere impiegata lavorando. Tutto ciò che non era ritenuto attinente alla rivoluzione, come per esempio prendere in braccio i propri figli, doveva essere sbrigato con il minimo dispendio di tempo possibile.

Sulle prime, mia madre incontrò difficoltà a seguire le regole, e l'accusa di «mettere la famiglia al primo posto» era una costante da parte delle sue colleghe di Partito. Alla fine, comunque, si abituò a lavorare senza interruzione. Quando tornava a casa la sera, noi eravamo andati a letto da tempo; allora lei si sedeva accanto al nostro letto e ci guardava dormire, ascoltando il ritmo regolare del nostro respiro: per lei era il momento più felice di tutta la giornata.

[…]

Nella primavera del 1956, Mao annunciò una politica che venne chiamata dei Cento Fiori, dalla frase che «Cento Fiori fioriscano»(bai-hua qi-fang): in teoria significava maggiore libertà per le arti, la letteratura e la ricerca scientifica. Il Partito intendeva così assicurarsi l'appoggio della classe colta cinese, di cui aveva bisogno, poiché stava entrando in una fase di industrializzazione «post-ripresa».

Il livello generale d'istruzione del Paese era sempre stato molto basso. La popolazione era numerosissima, ormai oltre seicento milioni di abitanti, la maggior parte dei quali non aveva mai goduto di un livello di vita accettabile. il Paese era stato costantemente soggetto a una dittatura, il cui metodo era mantenere la gente ignorante e quindi obbediente. Inoltre c'era il problema della lingua: la scrittura cinese è estremamente complessa e si basa su decine di migliaia di caratteri che non sono in rapporto coi suoni, e di cui ciascuno ha dei tratti complicati e dev'essere ricordato separatamente. Centinaia di milioni di persone erano del tutto analfabete.

Chiunque avesse ricevuto una qualsiasi forma di istruzione veniva etichettato come «intellettuale». Sotto il regime comunista, che basava tutta la sua politica sulle categorie di classe, quella degli «intellettuali» divenne una categoria specifica, seppur vaga, che includeva infermieri, studenti e attori, così come ingegneri, tecnici, scrittori, insegnanti, medici e scienziati.

Con la politica dei Cento Fiori, il Paese godette di un periodo di relativa tranquillità che durò circa un anno. Poi, nella primavera del 1957, il Partito sollecitò gli intellettuali a criticare i funzionari, anche dei gradi superiori. Mia madre pensò che fosse un modo per promuovere ancor di più il processo di liberalizzazione. Mao tenne un discorso sull'argomento, discorso che fu trasmesso fino al suo livello dopo avere attraversato tutta la gerarchia dei gradi superiori, e mia madre ne fa tanto commossa che non riuscì a dormire per tutta la notte. Sentiva che la Cina avrebbe avuto veramente un Partito moderno e democratico, un Partito che accettava le critiche come uno stimolo al rinnovamento, e fu orgogliosa di essere comunista.

Il discorso di Mao che sollecitava le critiche fu riferito ai funzionari del livello di mia madre, ma nessuno di loro fu informato di altre osservazioni che lo stesso Mao aveva fatto più o meno in quel periodo, e che riguardavano lo stanare i serpenti dalle loro tane, cioè scovare chiunque osasse opporsi a lui o al suo regime. Un anno prima Kruscev, il leader sovietico, aveva denunciato Stalin nel suo «discorso segreto», e questo aveva turbato profondamente Mao, che si identificava con Stalin. Mao era rimasto colpito anche dalla rivolta ungherese di quell'autunno, il primo tentativo riuscito, benché di breve durata, di rovesciare un regime comunista. Sapeva che una percentuale consistente di cinesi colti era favorevole alla moderazione e alla liberalizzazione, e voleva evitare una «rivolta d'Ungheria cinese». Anzi, successivamente disse in modo efficace ai dirigenti ungheresi che l'invito alla critica era stato una trappola, e che lui aveva continuato a tenderla anche dopo che i colleghi gli avevano consigliato di smettere, pur di essere sicuro di avere scovato ogni potenziale dissidente.

Degli operai e dei contadini Mao non si preoccupava: era sicuro che sarebbero stati grati ai comunisti che avevano garantito loro la pancia piena e una vita stabile. Tra l'altro, nutriva per loro un sostanziale disprezzo ed era convinto che non avessero la capacità mentale di sfidare il suo regime. Degli intellettuali, invece, non si fidava: in Ungheria avevano avuto un ruolo di primo piano, ed erano persone capaci di pensare con la loro testa.

I funzionari e gli intellettuali, ignari delle manovre segrete d Mao, si diedero da fare per incoraggiare le critiche e suggerirne essi stessi. Mao aveva invitato tutti a «dire ciò che volevano, e sino in fondo».

Mia madre lo ripeteva con entusiasmo nelle scuole, negli ospedali e ai gruppi di artisti dei quali era responsabile. Tutte le opinioni venivano poi divulgate in occasione di seminari organizzati o per mezzo di tazibao; i personaggi più famosi diedero il buon esempio esprimendo le proprie critiche sui giornali. Mia madre, come quasi tutti gli altri, fu oggetto di alcune critiche; la più insistente fra quelle espresse dalle scuole l'accusava di favoritismi verso gli istituti «speciali» (zhong-dian). In Cina lo Stato concentrava le sue limitate risorse su alcune scuole e università designate dalle autorità; queste avevano insegnanti migliori e attrezzature più efficienti e selezionavano gli studenti più dotati, il che garantiva un'alta percentuale di ammissioni agli istituti di istruzione superiore, soprattutto alle università «speciali». Alcuni insegnanti delle scuole normali lamentavano il fatto che mia madre avesse dedicato troppa attenzione alle scuole «speciali», a discapito loro.

Anche gli insegnanti erano inquadrati in una scala gerarchica e ogni promozione comportava un aumento di stipendio, razioni alimentari speciali quando c'era una carenza di cibo, alloggi più grandi e biglietti gratuiti per gli spettacoli teatrali. A quanto pareva, la maggior parte degli insegnanti di grado elevato che ricadevano sotto la responsabilità di mia madre proveniva da famiglie «indesiderabili», e alcuni di quelli «non promossi» criticarono mia madre, dicendo che badava troppo al merito professionale e troppo poco alla «classe di origine». Mia madre fece autocritica e riconobbe la sua parzialità nei confronti delle scuole «speciali», ma insistette sul fatto che non era sbagliato tenere conto del merito professionale fra i criteri per la promozione.

[…]

Le critiche, che spesso erano lamentele personali e suggerimenti pratici in cui la politica non entrava affatto, fiorirono per circa un mese, all'inizio dell'estate del 1957. Ai primi di giugno fu riferito per via orale al livello di mia madre il discorso di Mao circa lo «stanare i serpenti dalle loro tane».

In quel discorso, Mao sosteneva che gli «elementi di destra» avevano sferrato un violento attacco contro il Partito comunista e il sistema socialista cinese. Affermava inoltre che gli elementi di destra ammontavano a una percentuale che andava dall'uno al dieci per cento di tutti gli intellettuali, e che dovevano essere schiacciati. Per semplificare le cose, era stata fissata una cifra del cinque per cento, una media fra i due estremi indicati Mao, come quota di elementi di destra da catturare. Per raggiungere quella quota, mia madre avrebbe dovuto scovarne più di centinaio nelle organizzazioni di cui era responsabile.

Non era rimasta troppo soddisfatta di alcune delle critiche che le erano state mosse, ma ce n'erano ben poche che si potessero anche solo lontanamente considerare «anti-comuniste» o «anti-socialiste». A giudicare da quel che aveva letto sui giornali, pareva che vi fossero stati attacchi al monopolio comunista del potere e al sistema socialista, ma nelle sue scuole e nei suoi ospedali non si erano sfiorate questioni così ambiziose: dove diavolo sarebbe andata a scovarli, i suoi elementi di destra? Oltretutto era ingiusto, secondo lei, penalizzare persone che avevano espresso delle critiche solo dopo essere state invitate, anzi sollecitate a farlo. Per di più, Mao aveva esplicitamente garantito che non vi sarebbero state rappresaglie verso coloro si fossero fatti avanti: lei stessa aveva incoraggiato le persone a prendere la parola per esprimere le loro critiche.

Il suo dilemma era lo stesso che si trovavano ad affrontare milioni di funzionari da un capo all'altro della Cina. A Chengdu, la campagna contro gli elementi di destra ebbe un avvio lento e doloroso. Le autorità provinciali decisero di dare un esempio con un serto signor Hau, che era il segretario di Partito di un istituto al quale collaboravano eminenti scienziati di tutto il Sichuan. Il segretario avrebbe dovuto denunciare un numero consistente di elementi di destra, e invece aveva scritto nel suo rapporto che nell'istituto non ce n'era neanche uno. «Com'è possibile?» gli chiese il suo capo. Alcuni scienziati avevano studiato in Occidente. «Devono essere stati per forza contaminati dalla società occidentale. Come ci si può aspettare che siano felici sotto il comunismo? Com'è possibile che fra loro non ci siano elementi di destra?» il signor Hau rispose che il fatto che fossero in Cina per loro libera scelta dimostrava che non erano contrari al comunismo, e arrivò al punto di garantire personalmente per loro. Fu ammonito più volte e invitato a emendarsi: alla fine fu dichiarato lui stesso elemento di destra, espulso dal Partito ed esonerato dall'incarico. Il suo grado nel servizio civile venne abbassato drasticamente, il che comportava una netta riduzione dello stipendio, e fu mandato a lavare i pavimenti dei laboratori dello stesso istituto che in precedenza aveva diretto.

[…]

Ma dove trovare i suoi cento e passa «elementi di destra anti-comunisti e antisocialisti»? Alla fine uno dei suoi collaboratori, un certo signor Kong, responsabile dell'istruzione per il Distretto Orientale, le riferì che un paio di direttrici didattiche avevano individuato alcune insegnanti delle loro scuole. Una era una maestra elementare il cui marito, un ufficiale del Kuomintang era stato ucciso nella guerra civile; la donna aveva detto qualcosa come «la Cina di oggi è peggiore di quella del passato». Un giorno aveva avuto un diverbio con la direttrice, che l'aveva criticata per la sua mancanza di zelo: l'insegnante era andata su tutte le furie e aveva colpito la direttrice. Un paio di colleghe avevano cercato di fermarla, una fra l'altro dicendole di stare attenta perché la direttrice aspettava un bambino. Si diceva che la donna avesse gridato che voleva «eliminare quel bastardo comunista». (riferendosi al bambino che stava per nascere).

In un altro caso, si diceva che un'insegnante il cui marito era fuggito a Taiwan con il Kuomintang avesse mostrato ad alcune colleghe più giovani dei gioielli che le aveva regalato il marito, con l'intento di renderle invidiose della vita che aveva condotto sotto il Kuomintang. Quelle stesse colleghe affermavano di averle sentito dire che era un peccato che gli americani non avessero vinto la guerra di Corea e invaso la Cina.

Il signor Kong disse che aveva controllato gli episodi. Non spettava a mia madre condurre indagini: ogni prudenza sarebbe stata interpretata come un tentativo di proteggere gli elementi di destra e mettere in dubbio l'integrità delle colleghe.

I direttori degli ospedali e il suo collaboratore che dirigeva il settore della sanità non fornirono nessun nome, ma alcuni medici furono dichiarati «elementi di destra» dalle autorità superiori di Chengdu per le critiche espresse durante riunioni precedenti organizzate dalle massime cariche municipali. Anche mettendo insieme tutti quegli elementi di destra, però, non si arrivava neanche a dieci, che era già una cifra molto inferiore alla quota stabilita. A quel punto il signor Ying era stufo dello scarso zelo mostrato da mia madre e dalle sue colleghe, e l'ammonì che, se non riusciva a identificare gli elementi di destra, voleva dire che era lei stessa «materiale di destra». Essere etichettata come elemento di destra significava non solo diventare un proscritto politico e perdere il posto, ma, cosa ancor più importante, esporre alla discriminazione i propri figli e la propria famiglia e mettere in pericolo il loro futuro. I bambini sarebbero stati messi al bando nella scuola e nella strada dove abitavano, e il comitato di residenti avrebbe spiato la famiglia per controllare chi andava a trovarli. Se poi un elemento di destra veniva mandato in campagna, i contadini assegnavano a lui e alla sua famiglia i lavori più pesanti. Comunque nessuno conosceva con esattezza le conseguenze, e quell'incertezza era causa di paura in se stessa.

Era quello il dilemma che mia madre si trovava ad affrontare: se fosse stata definita elemento di destra, avrebbe dovuto rinunciare ai figli, o altrimenti avrebbe compromesso il loro futuro. Mio padre probabilmente sarebbe stato costretto a divorziare da lei per non finire anche lui sulla lista nera e rimanere per sempre persona sospetta. E anche se mia madre si fosse sacrificata e avesse divorziato, tutta la famiglia avrebbe portato comunque il marchio del sospetto, per sempre. D'altra parte, il prezzo della salvezza per lei e per la sua famiglia era il benessere di oltre cento innocenti con le loro famiglie.

[…]

La campagna contro gli elementi di destra, comunque, non ebbe effetti evidenti su gran parte della società: contadini e operai continuarono a condurre la vita di sempre. Un anno dopo, quando la campagna si concluse, almeno 550.000 persone erano state dichiarate elementi di destra: studenti, insegnanti, scrittori, artisti, scienziati e altri professionisti. La maggior parte di essi fu licenziata e dovette andare a svolgere lavori manuali nelle fabbriche o nelle fattorie, mentre alcuni furono condannati ai lavori forzati nei gulag. Insieme con le loro famiglie, divennero cittadini serie B. La lezione era chiara e inequivocabile: non si ammettevano critiche, di qualunque genere fossero. Da quel momento in poi, la gente smise di lamentarsi, o addirittura di fare commenti di qualsiasi tenore. Un detto popolare chiarisce bene quale fosse l'atmosfera: «Dopo le tre anti-, nessuno vuole più avere denaro per le mani; dopo la campagna contro gli elementi di destra nessuno apre più bocca».

La tragedia del 1957 ebbe tuttavia un effetto ben più grave che ridurre la gente al silenzio: a quel punto la possibilità di precipitare nell'abisso era diventata imprevedibile. il sistema delle quote combinato con le vendette personali significava che chiunque poteva essere perseguitato per niente.

Le definizioni popolari si adeguarono al clima politico. Fra gli elementi di destra esistevano i «destristi del testa o croce» (chou-qian you-pai), vale a dire quelli che tiravano a sorte per decidere chi sarebbe stato denunciato, e i «destristi del gabinetto» (ce-suo you-pai), cioè quelli che erano stati denunciati in contumacia perché non avevano saputo trattenersi dall'andare alla toilette durante le numerose e interminabili assemblee. C'era poi la categoria degli «elementi di destra che avevano il veleno in corpo ma non lo sputavano» (you-du bu-fang), ed erano quelli etichettati come elementi di destra senza che avessero detto niente contro nessuno. Quando un capo non era contento di qualcuno, bastava che dicesse: «Quel tizio non mi convince », oppure: «Suo padre è stato giustiziato dai comunisti, come fa a non provare risentimento? Non lo dice apertamente, ecco tutto». A volte un capo dal cuore tenero faceva il contrario. «Come posso incastrare gli altri? Dite pure che sono io.» Un tipo del genere veniva definito comunemente un « elemento di destra autoriconosciuto» (zi-ren you-pai).

Per molti il 1957 fu uno spartiacque. Mia madre era ancora devota alla causa comunista, ma cominciava a nutrire dei dubbi sulla sua attuazione pratica. Di quei dubbi parlò con il suo amico, il signor Hau, l'ex direttore dell'istituto di ricerca, ma non li rivelò mai a mio padre; non perché lui non nutrisse dei dubbi, ma perché non li avrebbe discussi con lei. Le regole del Partito, come i regolamenti militari, proibivano ai membri di discutere fra loro della politica del Partito stesso. Lo statuto prevedeva che ogni iscritto obbedisse in modo incondizionato alla sua organizzazione di Partito, e che ogni funzionario obbedisse al suo diretto superiore. Se sorgeva qualche disaccordo, se ne poteva discutere soltanto con un funzionario di grado superiore, che era considerato l'incarnazione del Partito. Quella disciplina di tipo militare, sulla quale i comunisti avevano insistito fin dai tempi di Yan'an e ancor prima, era stata essenziale per il loro successo. Si trattava di un formidabile strumento di potere, quale doveva essere in una società in cui i rapporti personali contavano più di qualsiasi legge. Mio padre aderiva totalmente a quella disciplina, in quanto era convinto che la rivoluzione non potesse preservarsi e prosperare se veniva criticata apertamente. In una rivoluzione era necessario battersi per la propria parte anche se non era perfetta, almeno finché si era convinti che fosse migliore della parte avversa. L'imperativo categorico era l'unità.

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