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Chiesto il rinvio a giudizio: la requisitoria del Pubblico Ministero (seconda parte)

Tratto da: Il diritto ecclesiastico, 1988, Parte II, pagg. 590-614.

Ricerca, trascrizione e introduzione a cura di Floridi L.

 

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Le violazioni finanziarie. - In tutte le località in cui ha operato la Chiesa di Scientology, la Guardia di Finanza ha accertato violazioni di natura tributaria di ingente ammontare che, nel caso di Milano, l'unico che sia stato preso in considerazione nel presente processo, supera addirittura i dieci miliardi annui di lire. I dettagliati rapporti nei quali tali violazioni vengono evidenziate e denunciate, forniscono anche indicazioni sui criteri seguiti dagli operanti nell'individuazione sia dei responsabili di ciascuna violazione, sia dell'ammontare della stessa.

Per quanto concerne in particolare il primo aspetto, gli organi di P.G. hanno ovviamente fatto riferimento agli organigrammi dell'associazione per identificare i vari legali rappresentanti della stessa, in quanto tali responsabili della tenuta della contabilità, nonché della presentazione della denuncia dei redditi. Anche per questo aspetto vanno richiamate le considerazioni circa la responsabilità dei dirigenti del gruppo a titolo di concorso, anche quando dovesse risultare che la materiale tenuta della contabilità sia stata effettuata da persone diverse, aventi tale incarico specifico.

A tali considerazioni ne va aggiunta una ulteriore, che riguarda il settore specifico della violazione. Non può infatti sfuggire, osservando l'entità della violazione, che l'organizzazione, nelle sue diverse diramazioni ed, in particolare, in quella milanese, presa in considerazione al capo n. 40), svolgeva, di fatto, attività di impresa e disponeva di rilevanti entrate derivanti in prevalenza da prestazioni di servizi (attività terapeutiche e corsi) e cessione di beni (vendita del materiale didattico e terapeutico). Operando come società di fatto la organizzazione viene a trovarsi soggetta a tutta la normativa civilistica che disciplina la responsabilità di ciascun socio e di coloro che ne hanno la rappresentanza.

Un primo principio, sul piano del diritto civile è sancito dall'art. 2297 c.c., secondo cui «fino a quando la società non è iscritta nel registro delle imprese, i rapporti fra la società ed i terzi, fermo restando la responsabilità illimitata e solidale di tutti i soci, sono regolati dalle disposizioni relative alla società semplice» nonché dall'art. 2267 c.c. affermante il principio della «responsabilità personale e solidale dei soci che hanno agito in nome e per conto della società». Ne discende che, anche con riferimento all'obbligazione tributaria, sono innanzitutto chiamati a risponderne i presidenti che redigevano le dichiarazioni annuali dei redditi.

Tale responsabilità non è solo di natura civile, ma si estende sul piano penale, anche in relazione a condotte illecite eventualmente poste materialmente in essere da soggetti diversi, addetti alla materiale tenuta della contabilità e alla redazione dei bilanci. Infatti se sul piano civile i rappresentanti della organizzazione sono chiamati a rispondere, essi risultano anche titolari di un obbligo giuridico di impedire che eventuali violazioni siano commesse da persone diverse, a loro soggette, secondo quanto sancito dall'art. 2392 comma 2 c.c., che enuncia il principio secondo cui «gli amministratori sono solidalmente responsabili se non hanno vigilato sul generale andamento della gestione o se, essendo a conoscenza di atti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose», principio che, al di fuori della materia societaria, trova comunque applicazione anche in tema di responsabilità del mandante (art. 2260 c.c.) e del committente (art. 20049 c.c.).

Tale obbligo di impedire l'evento, oltre che fondare una pretesa di natura civilistica, pone le basi anche della responsabilità degli amministratori, ai sensi dell'art. 40 comma 2 c.p., quanto meno, alla luce della costante giurisprudenza, in ordine agli «illeciti penali che derivano dall'esercizio dell'attività sociale, indipendentemente dai compiti a ciascuno assegnati » (Cass. sez. IV pen., 21 febbraio 1963, Lombardi ed altro). Non varrebbe certo ad escludere la responsabilità l'invocare a propria giustificazione, come è stato fatto da alcuni imputati, il fatto di ignorare di esser titolari di tali obblighi o comunque di aver attribuito alla propria qualifica un valore puramente formale. Infatti un'ignoranza di tal genere verrebbe automaticamente a risolversi in un'ignoranza della legge penale, come tale inescusabile (cfr. Cass. sez. V pen. 25 marzo 1971, Fria, in tema di ignoranza delle norme del codice civile che riguardano la tenuta delle scritture contabili).

L'esercizio abusivo di professioni (art. 348 c.p.). - Per quanto concerne l'esercizio della professione medica, la giurisprudenza costante della S.C., individua l'attività illecita nel «diagnosticare le malattie e nel prescrivere o somministrare i rimedi con qualunque mezzo, anche se diversi da quelli ordinariamente praticati. Commette quindi il reato di cui all'art. 348 c.p.» chi esprime giudizi diagnostici e valendosi, dei metodi della psicoterapia suggestiva...; per l'integrazione del reato in esame non occorre accertare se i medicamenti prescritti siano di uso comune, essendo sufficiente «un qualsiasi intervento curativo, comunque praticato sull'infermo» (Cass. Pen. 16 aprile 1953, D'Angelo).

In tutti i casi che sono stati presi in considerazione ai capi da 1 a 39, i soggetti passivi versavano in condizioni di infermità fisica e/o psichica e si rivolgevano quindi all'organizzazione affinché essa, attraverso suoi operatori, garantisse loro la guarigione.

Come si è già detto i metodi usati, indipendentemente dal disturbo diagnosticato, sono ripetitivi e mutuati, per l'appunto, dalla psicoterapia suggestiva. Se tali metodi hanno una forte componente magica, che li apparenta con quelli dei c.d. «guaritori», l'elemento che li differenzia maggiormente da questi ultimi è il fatto di esser utilizzati non nel quadro neutro di un rapporto individuale terapeuta-paziente, ma in un clima di suggestione collettiva, tale, quindi da aumentare il coinvolgimento del paziente, anche al di là degli aspetti strettamente terapeutici. A poco rileva che, nel vissuto individuale, l'aura mistica che circonda tali pratiche appaia più importante delle pratiche stesse una volta acclarata la loro natura intrinsecamente terapeutica; varrà a tal proposito rammentare che, secondo la S.C., anche «I consigli amichevoli e disinteressati ad un ammalato» diventano illeciti quando siano accompagnati «da prescrizioni terapeutiche o da altre indicazioni o prestazioni mediche» (Cass. Peno 30 giugno 1952, Ventrella).

Tali prescrizioni, nei casi di cui ci si occupa, includono non solo pratiche psicoterapeutiche (auditing) ma anche somministrazione di farmaci a base di vitamine. Il fatto che si tratti di sostanze in sé innocue non toglie che, nel momento in cui entrano far parte di un trattamento terapeutico, richiedono la presenza di un medico, sia in sede diagnostica che di prescrizione della sostanza, come la S.C. ha statuito in tema di erboristeria (Cass. sez. IV pen., 28 maggio 1968, Rossi; Cass. Pen. II ottobre 1956, Di Pace). A tal proposito, poco importa che l'organizzazione si rivolgesse a simpatizzanti medici per il rilascio di prescrizioni di vitamine, quando in realtà tutte le altre fasi del trattamento sfuggivano al loro controllo. Le stesse considerazioni che precedono valgono in ordine al contestato reato di esercizio abusivo della professione di farmacista, atteso che i prodotti a base di vitamine venivano venduti, in forma commerciale, dall'organizzazione che provvedeva ad importarli dall'estero.

Ipotesi criminose specifiche. - Al di fuori della casistica prevalente, costituita da ipotesi di circonvenzioni, truffe ed estorsioni, nel presente procedimento ricorrono, in forma isolata, alcune fattispecie che, per il loro carattere insolito, rispetto al normale modus operandi dell'organizzazione, sono state contestate unicamente ai loro autori materiali - il caso del sequestro di persona (capo n. 44) contestato a De Lu.En e Ca.Gi. ed il reato di cui all'art. 76 I. 22 dicembre 1975, n. 685, contestato a Lu.Iv. (capo n. 45).

In entrambi i casi si tratta di comportamenti che affrontano, in termini di illiceità, problematiche che si presentano a coloro che operano nel campo del recupero dei tossicodipendenti: il bisogno di riprendere l'uso di sostanze stupefacenti ed il desiderio di fuggire. Le soluzioni adottate, in momenti di emergenza, dagli operatori del Narconon, se non provano ancora che esse siano state previste in via generale, dimostrano tuttavia l'alto grado di impreparazione che l'organizzazione aveva nella formazione degli operatori e nell'affrontare le ricorrenti difficoltà frapposte dai pazienti.

Sempre in tema di Narconon giova rammentare che al capo 39 figurano alcune ipotesi di truffa aggravata in quanto commessa in danno di enti pubblici. Si tratta di casi in cui le rette sono state, in tutto o in parte, pagate da enti pubblici, quali amministrazioni comunali, UU.SS.LL. e regioni, a riprova della generale confusione che regna nel settore e della facilità con cui è possibile fregiarsi della qualifica di esperti in tossicodipendenze, in assenza di una qualunque preparazione specifica; come il campo della psicoterapia anche quello delle tossicodipendenze, in assenza di normativa adeguata e di rigorosi controlli pubblici, è aperto agli operatori «selvaggi» e alle più vergognose sperimentazioni, sempre sulla pelle dei più sventurati.

Alcune considerazioni in tema di circostanze aggravanti. - Una premessa è d'obbligo; mai come nel presente procedimento le circostanze aggravanti hanno una pregnanza di gran lunga superiore al loro carattere formale di «accidentalia delicti» in quanto colorano i fatti illeciti in termini di particolare pericolosità in conseguenza dello sfruttamento totale della persona umana, da un punto di vista sia patrimoniale sia psicologico, sfruttamento non lontano dalla riduzione in stato di schiavitù o condizione analoga, a cui fa riferimento la convenzione di Ginevra del 1956, che peraltro, in considerazione dell'epoca in cui è stata stipulata, ha preso esclusivamente in considerazione situazioni oggettive che si riallacciano ai relitti dell'ancien regime o a realtà terzomondistiche, ignorando del tutti i fenomeni emergenti in margine alla c.d. società opulenta. Pur non essendo questa la sede per un approfondimento di tali problematiche non sfugge il fatto che relegarle al rango di mere circostanze appare gravemente riduttivo della gravità e pericolosità del fenomeno.

I) Il numero dei concorrenti nel reato (art. 112 n. 1; art. 628 comma 3 n. 1) - È la prima e più evidente connotazione di tutti i fatti specifici: si tratta non di azioni individuali ma di massa, che rileva sotto un duplice profilo:

  • la varietà dei compiti e l'alternanza delle persone che si avvicendano nel contattare le vittime, in modo da operare con manovre a tenaglia;

  • il peso psicologico che la presenza della massa esercita sui soggetti contattati; è questa una situazione intimidatoria in re ipsa in quanto il tessuto connettivo della massa, come si è già avuto occasione di rilevare, è rappresentato dal consenso acritico ed incondizionato. Ne consegue pertanto che il venir meno del consenso di taluno viene automaticamente sentito come un tradimento, tale da giustificare l'adozione di tecniche di colpevolizzazione e, ancor prima, di auto-colpevolizzazione del soggetto. Il fatto poi che la massa sia costituita da soggetti spesso in condizioni psicologiche non dissimili da quelle delle parti lese, non elimina ma anzi esalta il suo potere intimidatorio, sia per la maggior docilità dei suoi componenti, sia perché il tradire i propri simili è naturalmente avvertito in termini di maggiore riprovazione morale.

L'aggravante in questione se esercita un peso determinante nelle ipotesi circonventorie e truffaldine, appare ancor più grave in quelle estorsive. In esse infatti la massa amorfa degli adepti, di fronte alla resistenza della vittima si trasforma, da entità benevola, suadente ed ammiccante, in insieme di persone ostili, che sottopone la vittima a forme di tortura psicologica, martellanti e sfibranti anche per persone normali ed i cui devastanti effetti spesso lasciano segni indelebili sulle vittime già provate. Se metodi di questo genere sono inaccettabili, anche quando utilizzati per motivi di natura economica (si pensi alle tecniche di certi creditori minacciosi), assumono una gravità estrema quando chi li pone in essere pretende di aver finalità terapeutiche; essi danno alla vittima la reale percezione di «non aver vie di uscita », secondo un'espressione che talora ricorre nei racconti dei denuncianti, proprio in conseguenza della forza di intimidazione che esercita il gruppo in quanto tale, in termini non lontani dalla previsione di cui all'art. 416-bis c.p.p., dalla quale peraltro si differenzia in quanto la forza di intimidazione del vincolo associativo, nell'organizzazione di cui ci si occupa, si rivolge essenzialmente nei confronti dei propri membri anziché di soggetti estranei.

II) La determinazione al reato di persone soggette (art. 112 n. 3) - L'aggravante viene contestata a tutti coloro che hanno ricoperto ruoli di responsabilità all'interno della organizzazione nelle sue varie diramazioni. È fuori dubbio, innanzitutto, che gli operatori che hanno tenuto i contatti con le parti lese, abbiano agito non di propria spontanea iniziativa ma in ossequio a direttive rigide ricevute; di ciò si è già ampiamente detto. È altrettanto evidente che i responsabili a livello locale dell'organizzazione, nel dare tali direttive abbiano agito nell'esercizio della loro autorità, direzione e vigilanza.

Secondo la giurisprudenza della S.C., al fine della sussistenza dell'aggravante, è necessario che il dipendente abbia commesso l'azione illegittima «in conseguenza della preoccupazione delle rappresaglie che avrebbe potuto esercitare contro di lui l'istigatore (Cass. sez. III pen. 30 novembre 1957, Daneri); è proprio il caso dei reati contestati agli imputati. In tutti i casi presi in esame coloro che hanno operato materialmente lo hanno fatto ben sapendo che un loro rifiuto ovvero l'adozione di tecniche più corrette, sul piano deontologico ancor prima che penale, avrebbe determinato immediate reazioni dell'organizzazione, attraverso i suoi esponenti. Che poi costoro abbiano sostenuto la natura formale della loro carica, non ha alcuna rilevanza, atteso che essi nella loro veste di imprenditori di fatto avevano comunque dei poteri da gestire, come è stato ampiamente dimostrato. A tal proposito gioverà ricordare che, in una situazione presentante accentuati caratteri di affinità con il presente procedimento, il Tribunale di Milano ha ritenuto, nel procedimento a carico di Verdiglione Armando ed altri, che l'aggravante in questione sia applicabile anche ai «rapporti di natura privata che in concreto realizzino situazioni di subordinazione» (sent. n. 2399/86 R.G. del 17 luglio 1986), come già affermato in altre sentenze della giurisprudenza di merito.

III) Determinazione di infermi o deficienti (art. 112 n. 4 c.p.). Errore determinato dall'altrui inganno (art. 41 c.p.) - L'aggravante è stata contestata con riferimento esclusivo alle attività svolte dall'organizzazione nei confronti di soggetti tossicodipendenti, nell'ambito sia dei Narconon che della chiesa di Scientology. Essa deriva dal fatto che, secondo una modalità operativa ricorrente, i tossicodipendenti oggetto del trattamento terapeutico o riabilitativo venivano utilizzati dagli operatori dei centri per indurre i propri familiari agli esborsi e divenivano quindi essi stessi, una volta che avessero aderito incondizionatamente all'organizzazione, veicolo di propaganda e strumento di pressione. Certo i tossicomani, anche ove abbiano fatto ricorso a pressioni, intimidazioni e minacce per convincere i parenti agli esborsi necessari per la prosecuzione del trattamento, avevano una visione molto parziale e deformata della realtà anche in considerazione della loro fragilità psichica.

Non può comunque sottacersi la gravità oggettiva di una situazione in cui, ancora una volta, soggetti psicolabili, vengano ridotti al rango di strumento di guadagno, con espressioni altamente incivili, quali è dato in continuazione di cogliere dal contenuto delle intercettazioni telefoniche. Come si avrà modo di esaminare in tema di minorata difesa, non è necessario che il soggetto indotto ad agire sia in condizione di infermità o seminfermità di mente, essendo sufficiente che versi «in stato di minorata resistenza di fronte alle suggestioni del determinatore» (Cass. sez. II pen., 31 ottobre 1975, Telesca), ed è proprio sull'aspetto della suggestionabilità che viene costantemente fatta leva, specialmente quando il soggetto passivo non è in grado di difendersi e le condizioni economiche della famiglia lasciano sperare consistenti «donazioni».

IV) Violenza consistente nel porre la parte lesa in stato d'incapacità di volere o di agire (art. 628 3° comma n. 2 c.p.) - Per dottrina e giurisprudenza costanti l'incapacità di volere consiste nell'impossibilità di dissentire e può essere ottenuta con mezzi diversi, mentre l'incapacità di agire si traduce nell'impossibilità materiale di seguire i comandi della volontà, senza che abbia rilevanza la durata di tale stato.

Nel presente procedimento l'aggravante è stata contestata con riferimento alle estorsioni patite dalle parti lese C.C., B.B.M. e C.O.; in tutti i casi presi in esame la costrizione delle parti lese è stata attuata con un quid pluris rispetto alla nozione di violenza e minaccia previste dalla norma incriminatrice; si tratta, per l'appunto, di metodi che paralizzano da un punto di vista psicologico e materiale l'azione della vittima, facendo leva, fra l'altro su una particolare predisposizione della stessa e che dà luogo alla contestazione dell'aggravante di cui al punto seguente.

V) Minorata difesa (art. 61 n. 5 c.p.) - L'aggravante ricorre in tutte le ipotesi di estorsione, di truffa e di maltrattamenti in cui la parte lesa versi in condizioni psichiche menomate o comunque impari rispetto ai loro interlocutori, trattandosi, in tali casi, di profittamento di circostanze di persona tali da ostacolarne la difesa. Sotto questo profilo l'aggravante si presenta, per giurisprudenza costante con riferimento ad ogni qualità fisica e psichica per cui la persona sia debole o incapace di difendersi; essa pertanto, pur abbracciando le nozioni di infermità e deficienza psichica previste dall'art. 643 c.p. (tanto da esserne assorbita), ha un ambito di applicazione più ampio, attesa la precisa volontà politica del legislatore di dar rilevanza ad ogni situazione di disparità di forze fra autore del reato e vittima.

Pertanto nella casistica presa in considerazione nei vari capi di imputazione ricorrono situazioni disparate che possono essere così sintetizzate:

  • casi di vera e propria infermità psichica, documentati clinicamente nonché attraverso indagini peritali come nei casi di A.O. (depressione psicotica), C.C. (disturbo psicotico di personalità), P.M. (schizofrenia ebefrenoparanoide cronica), M.M.T. (depressione reattiva);

  • casi di deficienza psichica, legati a situazioni prepatologiche, come nel caso di B.B.M., che talora degenerano successivamente in franche patologie;

  • casi di particolare prostrazione della parte lesa; è l'ipotesi frequentemente ricorrente in tutte le ipotesi in cui genitori tormentati dal problema della tossicodipendenza dei figli hanno acconsentito ad esborsi, talora ingenti, di denaro, pur di risolvere il problema che stava loro a cuore;

  • casi di facile adescabilità della vittima, in considerazione di particolari stati di bisogno: è l'ipotesi contemplata al capo 29) in cui Z.G., S.P., A.G., A.V., D'A.F., L.F., M.E., Di S.M., S.M. ed altri sventurati giovani hanno preso la strada di Copenhagen attratti ivi dal miraggio di trovare un lavoro;

  • casi di evidente disparità fra vittima ed autori materiali: fra questi è stata data particolare rilevanza al rapporto di dipendenza terapeutica che si viene a creare nel corso dei trattamenti prolungati di «auditing»; si tratta di una situazione del tutto analoga a quanto si verifica nelle sedute psicanalitiche e che, sotto il nome di «transfert», indica un particolare stato di soggezione del paziente, nel momento in cui ogni sua resistenza è stata superata.

Come ha esattamente osservato il Tribunale di Milano, nella citata sentenza del procedimento a carico di Verdiglione Armando ed altri, «non è dubitabile che gli imputati, nella realizzazione dei reati, si siano avvantaggiati di un rapporto di prestazione professionale quale quello fra analista ed analizzato in grado di diminuire efficacemente le possibilità di difesa dell'analizzato; è certo che la privilegiata possibilità di studiare a fondo le problematiche condizioni soggettive e le peculiari debolezze del singolo, abbia in concreto favorito le diverse azioni criminose opportunamente adattate al particolare temperamento del soggetto in analisi che, in virtù di simile intensa e personalissima relazione, riponeva nell'analista la massima incondizionata fiducia ». Poco importa che il terapeuta sia consapevole di esserlo ovvero mascheri sotto altra definizione la natura della propria attività, purché sia in grado di percepire la propria superiorità; non a caso, proprio nella vicenda del Verdiglione, costui ed i suoi discepoli, negavano talora di svolgere terapia psicanalitica, qualificando le sedute con i pazienti come «incontri culturali». Vien fatto di dubitare che più intensa è la relazione con il paziente, maggiori ne siano i camuffamenti.

VI) Abuso di relazioni di prestazioni d'opera (art. 61 n. 11 c.p.) - Questa aggravante è strettamente correlata alle considerazioni che precedono. La sua ratio infatti è fondata essenzialmente sul rapporto fiduciario che si crea fra gli autori dei fatti e le loro vittime tali da porre i primi «in condizioni di maggiore possibilità e facilità di commettere il reato», come affermato dal costante insegnamento della Suprema Corte.

Nei casi di specie, il rapporto che si creava sia all'interno della c.d. Chiesa di Scientology sia nell'ambito dei centri Narconon era di natura tale da operare in entrambe le direzioni: da un lato maggiori erano le occasioni di rapporti con le vittime, rispetto alle possibilità fornite da un rapporto saltuario ed occasionale, e dall'altro più facile era il coinvolgimento di costoro in conseguenza del clima di fiducia instauratosi. Se tali sono i criteri di individuazione dell'aggravante poco importa, come al solito, che i fatti vengano, per lo più, dagli imputati qualificati in termini diversi, dai quali esulano i concetti di prestazione professionale, attività terapeutca, sinallagma etc.; ciò che conta, come si è già detto, è la sostanza e non le apparenze, specie quando create ad arte.

VII) Sevizie (art. 61 n. 4) - L'aggravante ricorre quando le modalità esecutive dell'azione sono generatrici di sensazioni particolarmente dolorose per il soggetto passivo e, come tali, quindi rivelatrici di assoluta mancanza di sentimenti umanitari da parte del soggetto attivo del reato. Il fatto che essa sia stata contestata nel solo caso di P.M., il giovane schizofrenico, sottoposto a terapie di sapore nettamente medievale, non significa certo affermare l'eccezionalità di tal genere di condotte; come si ha avuto modo di sottolineare in tema di qualificazione giuridica dei reati, questa dipende quasi esclusivamente dalle condizioni delle parti lese e quindi dalla natura degli ostacoli che i terapeuti dovevano superare per raggiungere il risultato pratico-economico che si erano proposti. Non diversamente quindi da quanto accade in tema di estorsione, il ricorso alla coazione fisica, ai maltrattamenti, all'uso di vere e proprie sevizie si verifica di fronte a casi che appaiono insolubili con le tecniche «soft» della organizzazione più adatte a situazioni di comune fragilità.

VIII) L'aggravamento delle conseguenze del reato (art. 61 n. 8) - Si tratta, come è noto, di una circostanza che compare molto raramente nella casistica giurisprudenziale; secondo l'opinione corrente, ricorre allorché l'agente, dopo aver commesso il delitto, con un'azione ulteriore, ne aggrava o tenta di aggravarne gli effetti, intendendosi per tali le conseguenze patrimoniali e non, purché non costituiscano mera attuazione dello scopo del delitto stesso. Come è stato rimarcato nella relazione ministeriale sul progetto del codice penale, l'aggravante riguarda la psicologia del delinquente, il quale rivela una particolare criminosità.

Nella casistica ricorrente nel presente procedimento l'aggravante è stata contestata:

  • nelle ipotesi di tentativi posti in essere dagli imputati, ovvero da persone ad essi collegate, per indurre le parti lese ad ulteriori esborsi di denaro e ad un ulteriore coinvolgimento nell'organizzazione (casi di B.B.M., M.R., D'A.U., Di M.G.).

  • nei casi in cui, dopo che è stato commesso il reato ovvero uno dei reati uniti dal vincolo della continuazione, nel proseguire la condotta criminosa vengono ad ingigantirsi gli effetti devastanti, sul piano psichico (non senza riflessi economici) del primo episodio criminoso. Ciò si verifica, in particolare, allorché la reiterazione delle condotte criminose, determina, come è stato in vari casi accertato, un peggioramento delle condizioni di salute psichica di soggetti già affetti da disturbi mentali (vedasi casi di C.R., B.E., S.F., G.L., M.M., V.M., G.G., F.G., C.C. e A.O.).

Un particolare rilievo assumono, sotto il profilo delle drammatiche conseguenze dei fatti ascritti agli imputati i suicidi di alcune delle parti lese (A., M.) e della morte per «overdose» di altre (C., B.).

IX) Danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61 n. 7) - La trattazione di fatti la cui molla scatenante e criterio operativo è il guadagno, non può non concludersi con l'esame della circostanza aggravante che concerne, in modo specifico, l'entità del danno economico. Nell'individuazione dell'aggravante dottrina e giurisprudenza tengono in considerazione innanzitutto l'entità obbiettiva del danno cagionato, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non senza dar rilevanza, come criterio sussidiario di apprezzamento, la capacità economica del danneggiato.

A tal proposito non appare superfluo sottolineare come il totale coinvolgimento emotivo dei soggetti li portasse, in genere, ad esborsi che finivano per esaurire completamente le loro disponibilità economiche, situazione questa che veniva a risolversi in un accrescimento dello stato di subordinazione rispetto all'organizzazione e a suoi dirigenti. Non va nemmeno dimenticato che l'organizzazione, per natura di apparato e per livello culturale nel suo apparato ideologico, si rivolge prevalentemente a ceti medi e medio-bassi con la conseguenza che, in svariate situazioni, gli effetti economici dei versamenti sono stati avvertiti drammaticamente proprio a causa delle condizioni modeste dei soggetti.

Osservazioni conclusive. - Come si è già avuto modo di precisare nel corso della presente trattazione, le imputazioni che sono state contestate sono il frutto di una selezione fra centinaia di denunce, querele, esposti e dichiarazioni testimoniali (sia in sede di P.G. che di istruttoria sommaria e formale) che, per le più disparate ragioni, o riferiscono fatti non integranti tutti gli estremi di una qualche ipotesi criminosa, ovvero, quando tali estremi si presentano, risultano coperti da cause di estinzione del reato (prescrizione ed amnistia) ovvero da cause di non procedibilità (mancanza di querela, mancanza di richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia per i reati commessi all'estero).

Senza entrare nel merito di tutti questi episodi che, oltre a fornire indiretta conferma di quelli per i quali si è proceduto, costituiscono, nel loro insieme, un imponente affresco di una realtà drammatica, si chiede che il G.I. voglia, con decreto, dichiarare non doversi promuovere l'azione penale. Analoga richiesta va fatta altresì per la denuncia di alcuni sottufficiali della Guardia di Finanza in data 18 luglio I983 contro l'Hubbard Dianetics Institute e in relazione all'ipotesi di diffamazione, conseguente al rinvenimento di documenti presso la sede della associazione in cui veniva ventilata l'ipotesi che gli organi di P.G. operanti potessero lasciarsi corrompere. Non solo nel caso di specie mancano alcuni elementi strutturali dell'ipotesi criminosa denunciata ma, per quanto attiene al merito, non vi è alcun elemento obbiettivo di riscontro all'ipotesi accusatoria. Va infine dichiarata la archiviazione della denuncia presentata in data 2 agosto 1984 da Pontiroli Cesare nei confronti di Nava Renata in ordine alle percosse infertegli da quest'ultima in quanto il reato, anche a prescindere da una esatta ricostruzione dei fatti, sarebbe comunque coperto da amnistia. Competente al giudizio il Tribunale di Milano, città in cui è stato commesso il maggior numero dei reati più gravi; visti gli artt. 369 segg. c.p.p.

Chiede che il sig. G.I. in sede, dichiarata chiusa la formale istruzione, voglia:

  • dichiarare non doversi procedere, in ordine ai delitti loro rispettivamente ascritti, per non aver commesso il fatto, nei confronti di Us.Re. (capi nn. 32, 41 e 43), di Bi.Na. (capi 2, 42 e 43), di Co.An. (capi nn. 17, 36, 42 e 43) e di Pa.Gi. (capi 12, 42 e 43);

  • dichiarare non doversi procedere, perché i reati sono estinti per morte del reo, nei confronti di Ma.Ca. (capi nn. 22, 23, 42 e 43);

  • ordinare il rinvio a giudizio avanti il competente Tribunale di Milano perché rispondano dei reati loro rispettivamente ascritti, di:

    (Omissis - elenco di nomi)

  • dichiarare con decreto non doversi promuovere l'azione penale in ordine a denunce, esposti, querele e dichiarazioni testimoniali per le quali non si è proceduto, nonché nei confronti di tutti coloro a cui è stata inviata comunicazione giudiziaria non seguita da contestazioni specifiche;

  • disporre separazione degli atti relativi alla posizione di Ch.Ca.Al. e Fa.An. in ordine agli episodi rispettivamente in danno di V. e Di M. il primo e di R. la seconda, con richiesta, fin d'ora, di voler loro contestare, con mandato di comparizione gli stessi reati già in precedenza contestati a Co.An. e Pa.Gi.. Con riserva di formulare la lista dei testimoni.

(0missis)
 
 
 
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